«Saranno di meno i soldi, e saranno di meno le opportunità. So di aver scelto la strada più difficile. Ma, per quanto possa sembrare assurdo, io non mi sento hopeless, senza speranze». Anna Zilahy ha 21 anni, un candore disarmante, e studia per diventare drammaturga. Mentre scandisce la parola hopeless, al suono della sua voce si sovrappone un rumore di scarpe da tip tap: una decina di ragazzi sta correndo in sala per provare uno spettacolo. Siamo a Buda, nel centro culturale di piazza Marczibányi.

Questo centro è diventato una delle sedi per le lezioni dell’università che non esiste: per il governo ungherese, la libera università di teatro e di cinema, la “Freeszfe”, altro non è che un errore di sistema. Il titolo che si consegue qui vale in Germania e in altre parti d’Europa, ma non in Ungheria.

Quando Viktor Orbán, dopo aver messo le mani sui media indipendenti, ha cominciato a definire il proprio controllo anche sul mondo accademico, l’università di teatro e arti cinematografiche di Budapest, “Szfe”, con i suoi studenti, con il suo corpo insegnanti, si è ribellata come nessun altro ateneo aveva fatto prima.

Il popolo di “Szfe” ha protestato, ha occupato; e poi, quando protestare e occupare non è bastato a impedire la presa di Orbán sulla “Szfe”, «non abbiamo potuto accettarlo», dice il regista e professore László Bagossy. Così è nata “Freeszfe”, la “libera università” di teatro e arti cinematografiche: una costola indipendente, l’anima libera, senza fondi e senza supporti. Una università pirata dentro il regime orbaniano.

La presa dell’accademia

L’autonomia delle università ungheresi decresce sempre più dal 2010, con Orbán al governo, fino a oggi. L’esercizio di controllo sull’accademia comincia almeno otto anni fa, quando le figure dei“cancellieri”, di nomina governativa, intervengono sulla gestione amministrativa degli atenei, esercitando di riflesso una forma di presidio politico su rettore e senato accademico.

Due passaggi ulteriori, più recenti, segnano l’attacco del premier ai centri culturali indipendenti della capitale. Il primo è la cacciata da Budapest della Central european university, nel 2018. Viktor Orbán, che nel 1988 aveva ricevuto una borsa di studio finanziata dalla fondazione Soros, a quarant’anni di distanza e dopo una lunga battaglia legale ha ottenuto di veder emigrare a Vienna gran parte dell’università fondata da George Soros.

Ma la vita culturale alternativa nella capitale ungherese non si è spenta. La “Szfe”, l’università di teatro e arti cinematografiche fondata nel 1865, «è sempre stata povera, ma ha sempre avuto un’anima», come racconta Kata Wéber, sceneggiatrice pluripremiata che da ragazza ha studiato qui. «Poi Orbán ce l’ha scippata».

L’attacco alla “Szfe”, il baluardo della Budapest alternativa, inizia due anni fa, ed è il prodromo di un’azione più ampia di presa delle università. A fine estate 2020, sono già in corso i primi tentativi di trasformare la Szfe in una fondazione privata governata da un board “amico” del premier; la nuova guida si propone di mettere al centro temi come «nazione, patria, cristianità».

Ma il piano trova resistenze: arrivano le dimissioni massicce di tutti gli organismi elettivi della “Szfe”, degli insegnanti, e cominciano le proteste degli studenti. A settembre inizia l’occupazione dell’istituto, che durerà oltre due mesi. Decine di migliaia di persone partecipano a una protesta per le vie di Budapest.

L’università alternativa

«Lavoravo alla Szfe da undici anni, prima come insegnante di teatro, poi di regia, e infine come direttore teatrale», racconta László Bagossy. «Quando è stato nominato il nuovo direttivo, è stato chiaro a tutti che saremmo finiti nel sistema di Orbán, e a me che non avrei voluto farne parte».

La protesta dell’università di teatro si interrompe solo sul finire del 2020, quando la situazione pandemica costringe i manifestanti a lasciare l’edificio originario, che è in Vas utca, a Pest, poco lontano dal ponte Elisabetta.

Non è una resa, ma Orbán tira dritto. Ad aprile di un anno fa, forte della maggioranza parlamentare di due terzi, il premier sigla con un voto in aula la trasformazione di undici atenei in fondazioni. Un intero patrimonio pubblico viene convertito in fondazioni guidate da figure allineate al sistema. «Hanno provato a farmi restare alla Szfe dicendomi che il sistema illiberale andava accettato, che era emergente, anche a Washington», dice Bagossy. «Ma ho preferito perdere tutto: soldi, posizione, lavoro».

L’anima della “Szfe” è quella che se ne va: mentre il nuovo regime si prende la vecchia istituzione, gran parte di chi la abitava, professori, studenti, fonda in parallelo la “libera Szfe”. «Non abbiamo budget, solo donazioni. Facciamo lezione in un edificio abbandonato della Central european university e in altri luoghi in città».

Uno di questi è il centro culturale di piazza Marczibányi, dove oggi sta facendo lezione Anna Zilahy. Che racconta: «Ci sono anche alcuni pub e locali, a Budapest, che ci supportano e quindi ci offrono i loro spazi per creare pièces teatrali».

Alternative per il futuro

Quando studenti e professori hanno lasciato l’istituzione ufficiale per dar vita alla “Freeszfe”, d’improvviso i ragazzi si sono ritrovati dentro un percorso formativo non riconosciuto dal governo ungherese.

Perciò i professori come Bagossy hanno cercato supporto all’estero. «Grazie alla cooperazione con alcune università europee – a Salisburgo, Vienna, Varsavia, in Svizzera e in Germania – abbiamo potuto attivare un programma “di uscita di emergenza”, per poter convertire i diplomi dei nostri studenti in un attestato riconosciuto a livello europeo».

László Bagossy racconta con orgoglio che «l’Europarlamento nel 2021 ha insignito il progetto con il “premio per l’impegno civico europeo”».

Ma i riconoscimenti non bastano: «Non abbiamo un quadro finanziario stabile, gli insegnanti fanno un altro lavoro e qui prestano in sostanza attività volontaria, oggi abbiamo circa 120 studenti che stanno finendo il percorso ma dopo cosa succederà?». Il programma di emergenza vale solo per chi aveva iniziato gli studi alla vecchia “Szfe”.

Bagossy ha deciso di accettare un lavoro in Germania, e dirige il teatro Tri-bühne di Stoccarda. «La mia situazione è speciale, altri sono costretti a restare in Ungheria in una situazione politica che si fa sempre più dura. Ma da qui continuo la lotta, cercando di aiutare i miei studenti e colleghi a trovare sbocchi internazionali».

Un percorso controcorrente

Anna Zilahy sa di aver scelto «una strada difficile». Si è iscritta alla Freeszfe quando già si era distaccata dalla Szfe, e quindi il diploma che prenderà non rientra nel “programma di emergenza”. «Ma come avrei potuto scegliere la Szfe, sapendo che è controllata dal governo?

Non mi sarei sentita nei miei panni». Zilahy ha scelto la versione “free”, e lo ha fatto anche perché «alla Freeszfe c’è il primo corso di theatre making di tutta l’Ungheria: qui posso imparare non solo a recitare, a scrivere, a dirigere, ma anche gli aspetti gestionali.

Questo sarà molto utile: so che non avremo alcun supporto dal governo, quindi devo imparare come metter su una produzione». Per fortuna, dice Zilahy, «io credo nel teatro povero: non è avere tanti soldi che fa di una produzione teatrale un capolavoro».

Come immagina il futuro? «Non facile, di sicuro. Avrò un diploma invisibile, in un paese dove l’accesso ai grandi teatri è sotto le mani del governo. Ma c’è una Budapest progressista che resiste, e qui esiste anche una scena teatrale alternativa. L’esperienza alla Freeszfe mi fa sentire parte di una comunità che si supporta a vicenda». Anna Zilahy teme che la situazione politica diventi sempre più dura. «Ma non posso dire di sentirmi hopeless».

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