«Meloni’s moment»: è il momento di Meloni dice sulla Cnn e sui suoi blog Fareed Zakaria, uno dei più noti politologi e commentatori americani. In un video-editoriale di poco più di 4 minuti Zakaria descrive l’avvento di Giorgia Meloni come leader europeo dopo il periodo di Angela Merkel.

Secondo lui i punti decisivi sono l’alleanza con gli Stati Uniti sulla scelta filo-Kiev e la decisione di lavorare con l’Europa e in Europa piuttosto che contro di essa. Zakaria mette in luce il pragmatismo della nostra premier: in un anno è riuscita a rovesciare le opinioni prudenti e diffidenti che avevano di lei gli altri leader occidentali, ponendosi al centro dello scacchiere.

Il columnist non cela le difficoltà e gli scarsi risultati sulla politica migratoria ma anche l’evoluzione del pensiero a contatto con la realtà del governare. Cita gli accordi con l’Albania e i tentativi (più ardui) con Tunisi, così come il recente vertice Italia Africa. Malgrado le proposte di riforma istituzionale che Zakaria considera un po’ azzardate, la premier è giudicata ancora molto popolare.

Il suo vantaggio è anche comparativo: è la leader più popolare tra quelli attuali del G7. «Di sinistra in economia, di destra sui temi culturali (leggi: identitari), tosta ma amichevole, questa sembra essere la formula vincente con gli elettori» conclude il politologo. Sempre di più la nostra premier appare a Zakaria come: «Il volto del futuro d’Europa: è il Meloni’s moment».

La ricerca di un leader

Al di là delle naturali semplificazioni e delle divergenze possibili sui giudizi, in particolare in tema economico, il fatto che nell’opinione informata americana ci sia tale giudizio deve far riflettere.

È noto che gli americani sono alla continua ricerca di leader europei efficaci con cui rapportarsi, fin da prima della famosa farse di Henri Kissinger sull’impossibilità di trovare il numero di telefono dell’Europa. E’ altresì noto che in politica internazionale oggi conta molto la personalità del leader e meno l’ideologia che lo ha portato al vertice.

Da questo si può desumere, come è stato già fatto notare da commentatori non di parte, che la nostra presidente del Consiglio sta trovando ascolto nei fori internazionali anche perché è riuscita a cambiare di volta in volta linguaggio pur senza apparire trasformista. Ma c’è qualcosa di più da osservare se si osserva il panorama occidentale attuale.

La tendenza prevalente in termini politici è a destra. Un domani potremo trovarci con Marine Le Pen e Donald Trump al potere nei rispettivi paesi. Anche in Germania l’attuale coalizione è fragile e in tutta Europa le destre stanno avanzando. Se ciò accade Giorgia Meloni si troverà (ma in realtà si trova già) in una posizione particolare: tracciare la strada alle destre europee in un mondo in avanzato stato di frammentazione e pieno di conflitti (la terza guerra mondiale a pezzi).

Si tratta di un compito delicato: spiegare il senso dell’integrazione europea a chi giunge al potere contestandolo. Qualche mese fa intervistata da Repubblica Marine Le Pen ha risposto così alla domanda che metteva in contraddizione la sua opinione sull’Europa con quello di Giorgia Meloni: «Sì ma Giorgia è italiana».

Potremmo prendere tale risposta come un insulto: del tipo «si sa che gli italiani cambiano spesso opinione, o sono dei voltagabbana etc.». Ma a chi scrive pare invece che “essere italiani” sia una qualità piena di senso e densa di significato.

Oltre l’ideologia

La nostra (lunghissima) esperienza storica ci ha insegnato che le posizioni ideologiche sono sempre perdenti o incomplete e che per governare occorrano qualità umane e politiche che tengano conto della storia. Semplificando si potrebbe dire che essere italiani significhi essere più umani o più umanisti, ed è cosa certamente vera, grazie anche al radicamento della chiesa cattolica nella storia del nostro paese.

Ma non è solo questo: essere italiani significa aver capito anche a nostre spese (la più recente è il fascismo e la sconfitta) che da soli non si ottiene nulla e che occorre sempre, pur senza rinnegarsi, accogliere le opinioni degli altri e saper vivere il mix di amicizia, apertura e identità, guardando al futuro.

Carlo Levi parlava di “contraddizioni che diventano identità”: «Tutto sta insieme in questa terra (l’Italia) dove ogni cosa rimane senza perdersi, dove i secoli si sovrappongono, il pagano e il cristiano, l’arcaico e l’antico, il medievale e il moderno non solo stanno uno accanto all’altro ma coincidono sì che ogni cosa è una ricapitolazione, una summa di tutte le altre».

Questo abbiamo vissuto nei millenni come italiani, questo possiamo e dobbiamo presentare all’Europa come via d’uscita dal suo senso del declino, dalla sua rabbia e dalla sua ostilità. Probabilmente ad ogni leader italiano sarebbe piaciuto giungere a questo punto: quel momento opportuno in cui all’Italia spetta tale compito (da far tremare i polsi). Non ce lo saremmo aspettati ma sta forse capitando a Giorgia Meloni. Che ne sia all’altezza.

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