Nella confusione generale che circonda la presidenza della Repubblica, riaffiorano le antiche provenienze politiche. Le case della Prima repubblica che oggi hanno trovato ospitalità in partiti diversi, ma che rimangono ancora uno degli indizi da seguire per provare a capire ciò che si muove intorno al Quirinale. In particolare il gruppo trasversale degli ex democristiani che, più o meno ufficialmente, sembra muoversi per ottenere un mandato bis per Sergio Mattarella.

Come funziona la rielezione del presidente della Repubblica

Il presidente ha già fatto sapere in dialoghi privati e nei discorsi pubblici di essere contrario a ripetere l’esperienza di Giorgio Napolitano. Un precedente “eccezionale” che lui stesso considera ai limiti dell’incostituzionalità. Eppure, per dirla con un ex dirigente Dc ancora attento commentatore dell’attualità politica, «la sua rielezione è molto improbabile ma non tassativamente esclusa».

Del resto, un abile stratega di scuola democristiana come Bruno Tabacci, che bazzica la Camera da sei legislature e ha visto eleggere cinque capi dello stato, ha detto a Repubblica che «l’unica via d’uscita possibile» è che tutti i partiti «chiedano a Mattarella un ultimo sacrificio».

Nelle settimane scorse, era stato Pierluigi Castagnetti, legato a Mattarella da antica militanza Dc e antica amicizia, a sentenziare sibillino su Twitter che «dal caos uscirà la soluzione. La Provvidenza e il buon senso hanno sempre risolto bene». Lo stesso potente ministro dei Beni culturali del Pd – ma di solida provenienza democristiana – Dario Franceschini, che ambirebbe al Colle per sé, ha fatto capire che preferirebbe la stabilità dell’ex capo dello stato a un doloroso scontro in Aula dagli esiti imponderabili. Sul nome di Mattarella si sarebbe anche conclusa la chiacchierata romana davanti a una pizza tra Giancarlo Giorgetti e Luigi Di Maio, che dentro Lega e Movimento 5 Stelle si collocano – per tattica e modi - in continuità con la tradizione democristiana.

Mentre Luigi Zanda, senatore Pd e anche lui ex Dc, nei giorni scorsi ha fatto molto discutere per una proposta di riforma costituzionale, su cui sta lavorando insieme al presidente della commissione Affari Costituzionali, Dario Parrini (Pd), che prevede una modifica dell’articolo 88 della Costituzione prevedendo che il capo dello stato possa essere eletto per un solo mandato. Un modo per rendere possibile un ultimo reincarico di Mattarella? «Quanta fantasia - dice all’Adnkronos – Non c’è alcun legame nel modo più assoluto».

Fuori dalle dinamiche Dc

Gli ex democristiani si muovono in ordine sparso, ma tutti propendono verso la medesima soluzione. C’è un solo nome che, nel caso, potrà risolvere l’impasse. E se così è, bisogna preparare il terreno. Anche perché in tutti c’è la consapevolezza che Mattarella non ha alcuna intenzione di entrare nel dibattito.

«Mattarella è stato bravo presidente e ha onorato la tradizione politica da cui proviene, ma anche nella Dc non è mai stato un uomo di intrighi di palazzo», ragiona un altro deputato che da quel mondo proviene. «Anche nel corso del suo mandato, non ha mai aperto i giardini del Quirinale per invitare a pranzo i vecchi democristiani. Non si è mai mosso per lusingarli anche in vista di una rielezione», spiega. Il giudizio è condiviso: sia gli ultimi vecchi rimasti che gli ex giovani oggi ancora in parlamento convergono sul fatto che il capo dello stato, pur provenendo dalla Dc, abbia molto poco da spartire con quel mondo.

Ecco dunque anche perché il suo bis sarebbe un «sacrificio» possibile solo davanti a una situazione estrema. A fargli cambiare idea potrebbe essere l’acuirsi di due diverse instabilità: una esterna, dovuta all’aumento drammatico dei numeri della pandemia, e una interna causata da un parlamento incartato che bruci i candidati, trascinandosi scrutinio dopo scrutinio.

Per ora, secondo un parlamentare di lunga esperienza che in questo momento è diviso tra la fedeltà di partito e il ragionamento politico, «circolano solo le aspirazioni sommerse di singoli candidati di bandiera e nessuno cerca più in modo attivo la sponda di Mattarella». Dunque il bis non sarebbe la strategia primaria di nessun partito ma, come è stato per Giorgio Napolitano, potrebbe essere «la necessità finale». Ovvero: se allo scontro diretto in quarta votazione nessuno vincesse, «maturerebbero le condizioni per tornare in ginocchio da Mattarella».

Gli scenari possibili

I calcoli sono ancora rischiosi da fare, ma si ragiona per scenari. Il primo è quello che il nuovo presidente venga eletto alla prima votazione e in questo caso l’unico nome a poter ottenere il plebiscito dei due terzi del parlamento riunito, integrato con i delegati regionali, è quello di Mario Draghi. Se questo non accade, il rischio concreto è che si arrivi molto oltre la quarta votazione senza raggiungere la maggioranza assoluta. In questo caso l’unica soluzione sarebbe il bis di Mattarella.

L’altro possibile scenario è quello che non vede Draghi candidato. In questo caso alle prime tre votazioni a maggioranza qualificata ciascuna forza voterebbe un candidato di bandiera oppure scheda bianca. Dalla quarta in poi, invece, ci sarebbe la sfida tra Silvio Berlusconi e un nome indicato dal centrosinistra (Paolo Gentiloni?). Il ballottaggio potrebbe concludersi con una vittoria di misura per uno dei due, oppure con uno stallo che porta ancora dritto al Mattarella bis.

Un dato, però, è chiaro a tutti gli ex democristiani che accettano informalmente di parlare. Il vecchio scudo crociato non ha più né numeri né spazi da presidiare, ma solo strateghi distribuiti su poli opposti del parlamento. Per questo, ogni loro movimento va letto come un tentativo di prevedere gli eventi (e dunque farsi trovare pronti) più che di condizionarli. Nella piena consapevolezza che il primo a non volere il bis è Mattarella ma anche che il suo profilo istituzionale gli imporrà di accettarlo, se la situazione dovesse

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