I cittadini veneti si sono espressi, hanno eletto Luca Zaia quasi con un plebiscito e hanno reagito alle difficoltà create dal voto ai tempi del Covid-19. Grazie al grafico seguente possiamo vedere come rispetto alla tendenza negativa dal 1970 fino al 2015, queste elezioni abbiano invertito la rotta, seppure di poco.
 

Affluenza in calo dal 1995

Dal grafico si può notare come le elezioni regionali abbiano sempre coinvolto una percentuale rilevante di cittadini. Infatti, fino al 1990 la partecipazione era superiore al 90 per cento, soprattutto nelle province di Padova e Rovigo. A partire dal 1995 l’affluenza è calata scendendo di più di 10 punti percentuali ogni 10 anni: se nel 1995 ha votato l’85,23 per cento degli aventi diritto, nel 2005 ha votato il 72,43 per cento e nelle elezioni del 2015 si è espresso il 57,16 per cento dei cittadini; alle elezioni del 20 e 21 settembre, invece, ha partecipato il 61,15 per cento. Le elezioni che hanno coinvolto un numero maggiore di partecipanti sono state quelle del 1975, con una media in Veneto del 95,09 per cento, viceversa quelle del 2015 hanno coinvolto il minor numero di cittadini nella storia di questa competizione elettorale. Le percentuali sono simili in tutte le province, l’unica eccezione è la provincia di Belluno che vede mediamente il 10 per cento di elettori in meno rispetto alle altre sei. In linea con l’andamento complessivo del nostro Paese, la partecipazione in Veneto è caratterizzata da un decremento del dato relativo all’affluenza, invertito da questa tornata elettorale nonostante la crisi del Covid-19.

L’egemonia della Dc

In Veneto, la tradizionale egemonia esercitata dalla Chiesa ha garantito a lungo la supremazia elettorale della Dc. Essa si riflette anche nel consenso ottenuto dalla Dc nelle elezioni dal 1970 al 1990. In questo periodo si è votato con una legge elettorale proporzionale e la Dc ha costantemente ottenuto più del 40 per cento dei consensi, governando la regione prima con una giunta monocolore Dc, e poi con un’alleanza quadripartita, con Psi, Psdi e Pli.
Il Pci, principale partito di opposizione, negli stessi anni non ha mai superato il 25 per cento dei voti. Come si può vedere dal grafico seguente, nonostante il calo della Dc, non c’è mai stata una vera e propria competizione tra i due partiti.
 

La svolta delle coalizioni

Nel 1995, con una nuova legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza e con un sistema di partiti completamente rinnovato, la competizione si è trasformata: non si è basata più soltanto sui partiti, ma anche sulle coalizioni.
 

Dal grafico si può vedere come la competizione tra coalizioni abbia risentito dei rapporti tra i partiti politici a livello nazionale: quando la Lega Nord non ha partecipato alla coalizione di centrodestra nel 1995 il margine fra le coalizioni è risultato ridotto: solo sei punti percentuali separavano il centrodestra, al 38,22 per cento, dal centrosinistra, al 32,25 per cento. Lo stesso scenario è avvenuto nel 2005, quando il Progetto Nordest dell’imprenditore Giorgio Panto ha ottenuto il 6,01 per cento sottraendo voti all’area autonomista della Lega Nord: il centrodestra unito con Giancarlo Galan si è fermato al 50,58 per cento, la percentuale più bassa dal 1995 ad oggi, e il centrosinistra con l’imprenditore padovano Massimo Carraro ha ottenuto 42,35 per cento.

Quest’anno i risultati dimostrano la maggior differenza tra il centrodestra e il centrosinistra, superando anche il divario del 2010, l’anno in cui il centrodestra ha ottenuto 30 punti percentuali in più. Quest’anno, come è noto, Luca Zaia ha superato il centrosinistra di 57,35 punti percentuali: praticamente i voti necessari a vincere le elezioni regionali indipendentemente dai risultati dell’avversario.

L'andamento dei partiti

Proprio perché la competizione ha risentito delle coalizioni a livello nazionale, è importante analizzare la differenza di voti tra i tre principali partiti in regione, due del centrodestra (Forza Italia - Popolo della libertà e Lega Nord) e uno di centrosinistra (Pds, Ds, Ulivo, Pd) fino al 2010. Ho scelto di analizzare questi partiti nonostante in tre tornate elettorali questi non siano stati il primo, il secondo e/o il terzo: mi riferisco al 2000, quando la lista Cacciari della coalizione di centrosinistra guidata da Massimo Cacciari ha ottenuto il 13,63 per cento dei consensi superando la lista dei DS di poco più di un punto percentuale relegando la Ln in quarta posizione, al 2015 e al 2020 perché queste due tornate elettorali meritano di essere discusse a parte.

Forza Italia ha raggiunto il suo massimo storico nel 2000, quando ha raggiunto il 30,38 per cento; mentre il principale partito di centrosinistra nel 2004 quando ha partecipato come lista Uniti nell’Ulivo e ha ottenuto il 24,3 per cento. La Lega Nord ha ottenuto il suo massimo storico nel 2010 (il 35,16 per cento) e il suo minimo nel 2000 (11,97 per cento). Luca Zaia è riuscito a migliorare il risultato delle elezioni precedenti sia a livello di coalizione (passando dal 50,09 per cento al 74,28 per cento) sia a livello di liste: nel 2015 le due liste chiaramente riconducibili al candidato presidente leghista avevano ottenuto insieme il 40,92 per cento, con la Lista Zaia  che aveva superato di poco più di cinque punti percentuali la lista ufficiale della Lega, ottenendo il 23,09 per cento; mentre in questi giorni la lista del governatore del Veneto ha ottenuto il 47,28 per cento e la Lega si è fermata al 14,40 per cento.

Per quanto riguarda la differenza fra città e provincia è interessante analizzare il differenziale tra i voti espressi nelle varie province e i voti espressi nei comuni capoluogo (voti in provincia meno i voti nel comune capoluogo); ho diviso i periodi in tre (prime cinque elezioni; centrodestra vs. centrosinistra; voti alla lista Zaia vs. voti alla Ln) e solo successivamente ho tratto le conclusioni della mia analisi.

Nel primo periodo che va dal 1970 al 1990 e che era caratterizzato dalla competizione tra Dc e Pci vediamo come la Dc fosse più forte in provincia rispetto ai comuni capoluogo, mentre il Pci era più forte nei comuni capoluogo rispetto alle province. Possiamo vedere comunque come la forbice sia maggiore per la Dc rispetto al Pci: se per il partito di maggioranza relativa i voti potevano cambiare di dieci punti percentuali, per il Pci questi cambiavano al massimo di tre punti. Rovigo era l’unica provincia disallineata, infatti il Pci era più forte in provincia rispetto alla città di Rovigo e la Dc otteneva più o meno le stesse percentuali sia in città sia nella provincia rodigina.

La composizione delle coalizioni ha rovesciato i dati discussi in precedenza: infatti, tra il 1995 e il 2010 si è ridotta la forbice dei voti tra la città e la provincia per il centrodestra rispetto a quanto avveniva per la Dc, mentre è aumentata la forbice di voti al centrosinistra. Anche in questo caso, Rovigo ha una storia elettorale diversa rispetto alle altre province venete: la forbice tra città e provincia è ridotta sia per i voti al centrosinistra, sia per i voti al centrodestra.

Il sorpasso di Zaia

L’ultimo periodo analizzato riguarda le ultime due tornate elettorali, dove la Lista Zaia ha sempre superato i consensi della Lega Nord, nel 2015 con poco più di cinque punti percentuali mentre nel 2020 con più di 35 punti percentuali. Le due tornate elettorali hanno una storia a sé: infatti nel 2015 le due liste ottenevano circa la stessa percentuale di voti con la differenza che la lista Zaia riusciva a ridurre la forbice tra città capoluogo e resto del territorio provinciale (eccezione fatta per la provincia di Treviso dove in città aveva ottenuto quasi otto punti percentuali in meno rispetto a tutta la provincia); mentre nel 2020 il risultato della lista collegata al governatore del Veneto ha ottenuto risultati paragonabili alla Dc degli anni ottanta, ma con una forbice nettamente inferiore tra città e provincia.

Questa panoramica sulle elezioni regionali ci ha permesso di comprendere maggiormente alcune dinamiche politiche che potrebbero svilupparsi nei giorni a venire: inizialmente in Veneto la cultura politica era incapsulata dalla Democrazia cristiana che sapeva unire le fratture centro – periferia e stato chiesa; a partire dagli anni ’80 però il processo di secolarizzazione e l’apertura ai mercati globali causò una metamorfosi dell’elettorato veneto, che non si appoggiava più alla Dc ma iniziava a sostenere la Lega Nord, abile a reinterpretare la frattura centro-periferia. Dopo la crisi del 2008 però la Lega Nord di Matteo Salvini attraverso una revisione ideologica del suo partito ha iniziato ad interpretare le fratture sull’immigrazione e sulla questione europea, ponendo in secondo piano la questione centro – periferia. Questa scelta è costata il sorpasso della lista di Zaia nel 2015, risultato che, come abbiamo visto si è ulteriormente rafforzato durante queste elezioni: la Lega Nord infatti ha perso consensi anche rispetto al 2015, dimostrando che il feudo leghista non ha apprezzato del tutto i cambiamenti imposti dal segretario.

Cosa vuole fare la Lega?

Inoltre, la sconfitta in Puglia e soprattutto in Toscana pongono dei quesiti anche sulla leadership nazionale del leader del Carroccio: se con il risultato delle elezioni politiche del 2018 e, soprattutto, con il risultato delle elezioni europee del 2019 Salvini era pronto a egemonizzare il centrodestra, i risultati di questi due giorni hanno già dimostrato dei malumori all’interno della coalizione. Toti su La7 festeggiando la sua vittoria in Liguria chiedeva a Salvini di ascoltare di più gli alleati e gli esponenti delle liste civiche dei candidati governatori che hanno ottenuto più consensi dei partiti che li sostenevano. Zaia, mantenendosi più schivo e non esprimendosi sulla questione del Mes, ha posticipato una resa dei conti nel Carroccio che però non potrà non arrivare: le elezioni regionali del Veneto dimostrano che il problema della Lega non è (solo) di leadership, ma di cosa vuole essere e che problemi vuole rappresentare.

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