L’attesa per le parole che il presidente della Repubblica pronuncerà il 25 aprile, quest’anno, è particolarmente densa: inutile negarlo. La ricorrenza annuale, d’altra parte, è forse quella che più si presta all’esercizio di quella delicata attività di integrazione simbolica, implicita nel ruolo di «rappresentante dell’unità nazionale», volta ricomporre il conflitto sociale sempre in atto, richiamando le parti ai valori su cui il patto costituzionale fonda il “nuovo” ordine.

Far presente l’unità quando questa rischia di disperdersi, additando un valore alto, verso il quale tutti rivolgere lo sguardo – sollevandolo dal proprio “particulare”– , e così unificare lo sguardo, la prospettiva, la direzione.

Il presidente Mattarella ha interpretato questo ruolo, fin dai suoi primi passi, con estremo senso della responsabilità. Si ricorderà che il suo primo atto ufficiale ha voluto essere l’omaggio alle Fosse Ardeatine, il 31 gennaio 2015, a voler da subito chiarire quali sarebbero stati i valori cui la sua presidenza si sarebbe ispirata. E, da allora, ogni discorso pronunciato nei 25 aprile successivi ha contribuito a tessere la trama di una riflessione lucida e sapiente, in cui è possibile rintracciare alcuni temi ricorrenti, che vale la pena richiamare pur brevemente (senza la pretesa di alcuna interpretazione autentica, ovviamente, ma solo come appassionati lettori).

Il primo: un nesso genetico, inscindibile, tra i valori della lotta di liberazione e del 25 aprile, da un lato, e i valori fondativi del nuovo ordinamento repubblicano.

Le basi della Repubblica

Nel corso degli anni, tale nesso è declinato più specificamente in relazione a tre elementi: il carattere democratico del nuovo Stato; il carattere repubblicano; e, infine, il prodotto delle scelte costituenti. Limitandoci ad alcune citazioni essenziali, quanto alla democrazia: «La vita democratica, dopo il cupo ventennio fascista, ha le sue radici nella lotta di liberazione» (2018); «Il 25 aprile rappresenta la data fondativa della nostra democrazia» (2022).

Sulla scelta repubblicana: «La ricorrenza del 25 aprile è un’indicazione di come la Repubblica nasca dalla Resistenza. É sul 25 aprile, su questa data, che si fonda, anzitutto, la nostra Repubblica» (2016). E, infine, sulla Costituzione repubblicana: «Dobbiamo applicare la Costituzione, che è la viva eredità del 25 aprile» (2015); «É la Costituzione il frutto principale del 25 aprile» (2015); «La nostra Costituzione, sigillo di libertà e democrazia, come scrisse Costantino Mortati nel 1955, nel decennale della Liberazione, “si collega al grande moto di rinnovamento espresso dalla Resistenza”» (2018).

Va notato, peraltro, che, nella tela tracciata dal presidente Mattarella, non v’è dubbio alcuno che i valori della lotta di liberazione – che stanno alla base di democrazia, repubblica e Costituzione – sono i valori dell’antifascismo: «Naturalmente nella nostra democrazia confluiscono anche altri elementi storici nazionali, ma quello dell'antifascismo ne costituisce elemento fondante» (2015); «L’antifascismo fu e resta elemento costituivo dell'alleanza popolare per la libertà e quindi dell'Italia repubblicana» (2015); «La storia della nostra libertà è stata scritta da [chi perdette la vita per opporsi alla barbarie scatenata dalla furia nazifascista], la nostra Costituzione democratica è merito del loro sacrificio, è nata dal loro sacrificio» (2022).

Secondo tema ricorrente è il carattere determinante del contributo dei partigiani alla liberazione dal nazifascismo, volto a neutralizzare ogni suo ridimensionamento tutto sbilanciato sul ruolo militare delle forze alleate. In un’intervista nel primo anno di presidenza, Mattarella considera: «La Resistenza italiana mostrò al mondo la volontà di riscatto degli italiani, dopo anni di dittatura e di guerra di conquista».

E si chiede: «Cosa sarebbe successo se questi militari italiani avessero deciso in massa di arruolarsi nell'esercito della Repubblica Sociale? Quanto sarebbe stata più faticosa per gli Alleati l'avanzata sul territorio italiano e con quante perdite? La Resistenza, la cobelligeranza, pesarono sul tavolo delle trattative di pace». La storia con i “se” non si può fare, ma lo studio di quanto – parallelamente alla vicenda italiana – accadeva in Germania, dove un movimento di resistenza popolare come quello italiano era mancato, può aiutare.

Carattere nazionale

Il terzo tema su cui il presidente è tornato con particolare insistenza è il carattere nazionale della Resistenza, contro ogni narrativa che vorrebbe legare le sue vicende esclusivamente a certe aree del paese. «Pur se la resistenza nelle regioni del Sud ebbe una storia più breve, ne va sottolineata l’importanza, in termini di coraggio, valore e sacrificio. Senza dimenticare il contributo offerto alla lotta partigiana al Nord da tanti militari originari di regioni del Mezzogiorno» (2022).

E l’ultimo, decisivo, tema è il rifiuto, netto, severo, senza scampo, di qualsiasi forma di equiparazione anzitutto tra la violenza nazifascista e gli episodi di violenza pure conosciuti dalla lotta di liberazione e, in secondo luogo, tra il sacrificio di chi si impegnò nella Resistenza e quello di combatteva con i nazifascisti.

Sul primo punto: «Gli atti di violenza ingiustificata, di vendetta, gli eccidi compiuti da parte di uomini legati alla Resistenza rappresentano, nella maggior parte dei casi, una deviazione grave e inaccettabile dagli ideali originari della Resistenza stessa. Nel caso del nazifascismo, invece, i campi di sterminio, la caccia agli ebrei, le stragi di civili, le torture sono lo sbocco naturale di un'ideologia totalitaria e razzista» (2015).

Campi inequeparabili

Sul secondo, a più riprese: «Non c'è dubbio che la pietà e il rispetto siano sentimenti condivisibili di fronte a giovani caduti nelle file di Salò che combattevano in buona fede. Questo non ci consente, però, di equiparare i due campi: da una parte si combatteva per la libertà, dall'altra per la sopraffazione» (2015); «Pietà per i morti, rispetto dovuto a quanti hanno combattuto in coerenza con i propri convincimenti: sono sentimenti che, proprio perché nobili, non devono portare a confondere le cause, né a cristallizzare le divisioni di allora tra gli italiani» (2015).

La Resistenza – ha spiegato Mattarella nel 2021 – è stato un « grande serbatoio di istanze morali», «il cui valore morale si è proiettato anche oltre il significato storico e politico di quella esperienza». E noi gli siamo grati per averci, in ogni occasione, ad ogni festa della Liberazione, confermati in questa certezza.

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