L’ultimo leader comunista

Una rilettura del socialismo dato per morto, senza una degna e motivata sepoltura

Achille Occhetto con Luciano Lama (Foto LaPresse)
Achille Occhetto con Luciano Lama (Foto LaPresse)
  • «Quello che ho scritto non è la verità. È il mio lascito, la mia elaborazione del lutto, è il mio testamento», dice Achille Occhetto nel suo libro Perché non basta dirsi democratici. Ecosocialismo e giustizia sociale.
  • In controtendenza con lo spirito (e la moda) del tempo imbocca il sentiero eretico di una rilettura del concetto di socialismo. «Quello che è intollerabile è che, qualora lo si consideri morto, lo si faccia senza una degna e motivata sepoltura».
  • L’appello è a guarire una «malattia della politica» figlia del vuoto di cultura, sguardo presbite, ambizione. Un vastissimo programma. Il testamento (politico) dell’ultimo leader comunista ci raccomanda la cosa più semplice: di fare presto perché è già molto tardi. 

Achille Occhetto, classe 1936. Segni particolari: nel 1989 ha consentito al Partito comunista (quello di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Luigi Longo e Enrico Berlinguer) di non rimanere travolto dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine del “secolo breve”. Per quella sua intuizione vi è stato chi per decenni gli ha reso merito e chi lo ha scomunicato a vita. Nel mio piccolo appartengo alla prima schiera, senza dubbio la più folta e tutto sommato quella che la storia ha riconosciuto come g

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