L’Italia è afflitta da una siccità ormai cronica e i fondi del Pnrr rischiano di essere un vero buco nell’acqua. Tra la carenza in fase di pianificazione e la confusione in fase di selezione dei progetti, il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit) ha lasciato molto a desiderare sulla gestione del rifacimento delle infrastrutture idriche. Dalle iniziali 124 opere inserite nel programma, si parla di una drastica riduzione: entro il 2026 solo una trentina di opere saranno interessate dai lavori. Nel frattempo, Matteo Salvini è stato anche nominato commissario alla siccità, alla guida della cabina di regia che si dovrà occupare dell’emergenza nei prossimi mesi. 

Cosa si cela dietro a questi numeri? Un impatto sulla vita dei cittadini: le falle alle condutture potrebbe non essere riparate, con buona pace delle promesse del governo Meloni, e i nuovi invasi potrebbero non essere realizzati, nonostante una dotazione complessiva di 2 miliardi di euro. Addio riparazioni per limitare il 40 per cento delle perdite certificato dall’Istat. La corte dei conti, in una relazione sul tema, ha usato toni severi e meno informali del solito per evidenziare le mancanze accumulate in questi mesi da parte del Mit. Una sveglia in piena regola che abbraccia tutto il periodo di scrittura del Piano.

Dubbi su Mr Siccità

I dati messi insieme forniscono un quadro preciso dal punto di vista tecnico ma non hanno scalfito le convinzioni della premier Giorgia Meloni, che ha conferito a Matteo Salvini il compito di presiedere la cabina di regia, indicandolo nei fatti come il vero commissario. E certo, il leader della Lega nei panni di Mr Wolf contro la crisi idrica non è il massimo, visto anche lo scarso supporto della struttura ministeriale, finita in affanno in una fase ordinaria.

A oggi, le risorse messe a disposizione sul capitolo delle rete idrica sono sostanzialmente impantanate. Nel dettaglio la ripartizione è in tre macro categorie: un finanziamento di 708 milioni di euro per gli invasi e gli acquedotti, 900 milioni di euro destinati a 39 nuovi progetti e la parte restante sono risorse già programmate su legislazione vigente. Ma nella loro diversità, i 124 interventi totali previsti sono accomunati da una serie di ritardi. La magistratura contabile «ha messo in luce una evidente difficoltà pianificatoria», sollevando concreti dubbi sulle modalità di raggiungimento degli obiettivi fissati entro le scadenze.

Così è già all’ordine del giorno una massiccia revisione. Tuttavia, il ridimensionamento, con un taglio a 33 opere totali, viene giudicato «irrazionale» dalla corte dei conti. È mai possibile, si chiedono i magistrati contabili, che siano stanziati 2 miliardi di euro per concludere i lavori ad appena il 26 per cento dei cantieri inizialmente previsti? Una domanda è solo retorica, perché la direzione sembra intrapresa. Intanto, è data per certa l’esclusione dell’intervento alla diga di Monte Crispu a Bosa, in provincia di Oristano, ed è considerato più che probabile il taglio di altri tre opere, esattamente alla diga Timpa di Pantaleo (Reggio Calabria), alla Rosamarina (Palermo) e alla diga Olivo (Enna).

Un passo indietro che colpisce quelle aree del Sud che più avrebbero necessità di infrastrutture. La motivazione addotta è quella dei rincari delle materie prime, diventati la foglia di fico per celare i fallimenti. Solo che i fatti indicano un deficit di programmazione. Il costo della diga Rosamarina, è passato da 8 milioni a 25,9 milioni di euro, l’intervento al canale Fosso Vecchio (in Romagna) è quasi raddoppiato, da 37 a 61 milioni di euro. Cifre che indicano, secondo l’analisi della corte dei conti, un «originario difetto di programmazione».

Ministero in confusione

Il dito viene puntato direttamente contro il ministero, che non ha valutato «tempestivamente tutti i complessi profili operativi collegati all’investimento» e ha generato «confusione degli aspetti attuativi nonché inevitabili ritardi sul cronoprogramma, peraltro “tarato” su previsioni realizzative non correttamente individuate», riferisce la relazione.

Una falla a monte, dunque, che coinvolge la precedente gestione del dicastero, quella di Enrico Giovannini. Ma gli errori non si sono interrotti sotto l’egida del nuovo corso, reo di non aver provveduto a un «corretto e tempestivo monitoraggio e adozione di pronte misure correttive». 

Di fronte a questa montagna di rilievi, il Mit si è limitato a fornire generiche risposte, prendendosi la controreplica dei magistrati contabili che hanno parlato di risposte «non pertinenti». Indicazioni preziose all’esecutivo, nei giorni in cui il decreto Siccità muove i primi passi al Senato. Con Salvini "uomo forte" contro quella crisi idrica, che da ministro fa fatica a gestire.

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