Veleno per alcuni, farmaco “salvavita” per altri. La triptorelina, meglio conosciuta come “bloccante della pubertà”, sarà oggetto di dibattito per la maxi commissione nominata dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dalla ministra della Famiglia, Eugenia Roccella. Il compito affidato alla commissione è chiaro: si tratterà di valutare se la somministrazione di questo medicinale è, per i ragazzi e le ragazze con incongruità di genere, più vantaggiosa o più rischiosa.

Nonostante la sua applicazione in questo ambito di trattamento sia di lungo corso e la triptorelina sia somministrata da circa trent’anni, per capire come sia diventata improvvisamente oggetto d’attenzione del governo occorre tornare al 20 dicembre scorso.

Il caso “Careggi”

Quel giorno il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, presenta un’interrogazione parlamentare per approfondire ciò che avviene all’ospedale Careggi di Firenze, polo d’eccellenza in Italia per i percorsi di adeguamento dell’identità di genere.

Secondo il senatore, non solo il consenso alla somministrazione del farmaco «sarebbe basato sul presupposto, inaccettabile, che con la pubertà bloccata i bambini hanno tempo di esplorare la loro identità di genere e decidere se proseguire il percorso di transizione», ma la triptorelina sarebbe prescritta «a bambini di 11 anni senza alcuna assistenza psicoterapeutica e psichiatrica». Gli adolescenti assumerebbero le pillole «come fossero caramelle».

Da qui il ministero della Salute avvia un’ispezione nel Centro regionale per l’incongruenza di genere (Crig) del Careggi. Il 6 aprile lo stesso Gasparri, che si trova a Firenze in un gazebo del suo partito adibito al tesseramento, anticipa ai cronisti i contenuti della relazione stilata dagli ispettori del ministero – senza aver letto né il testo completo, né una relazione tecnica – secondo cui sarebbero emersi «elementi di criticità molto significativi».

In particolare il Careggi, secondo il senatore di Forza Italia, non avrebbe seguito le linee guida dell’Aifa per «l’utilizzo della terapia farmacologica con triptorelina» e sul piano organizzativo non avrebbe garantito ai ragazzi e alle ragazze il supporto neuropsichiatrico.

La reazione del presidente della regione Toscana, Eugenio Giani – che in quel momento non aveva ancora potuto leggere il report – timida in un primo momento, si è fatta più dura dopo aver visionato l’atto ufficiale. «È una relazione come tante altre», ha detto il dem accusando Gasparri di aver alzato un «polverone strumentale assurdo».

La relazione parlerebbe sì di “criticità”, ma senza usare l’aggettivo “significative” e quanto alla scarsa presenza di neuropsichiatri potrebbe essersi trattato di una falla interpretativa della determina Aifa che regola la somministrazione della triptorelina. In un passaggio di tali linee guida la figura del professionista in neuropsichiatria sembra necessaria in ogni caso, in un altro alternativa a quella di psicologo o psicoterapeuta.

Lo scontro politico sulla triptorelina

Lo scontro politico sulla triptorelina non è prerogativa italiana. Nel Regno Unito, il governo conservatore di Rishi Sunak ha adottato una risoluzione, poi recepita dal servizio sanitario nazionale, che impedisce ai centri specializzati in terapie d’affermazione di genere per i minori di utilizzare i bloccanti della pubertà. Anche in questo caso la decisione si fonderebbe sulla necessità di acquisire maggiori informazioni riguardanti i vantaggi e i pericoli ad essi associati.

Se poi si attraversa l’oceano la situazione non è molto diversa. Negli Stati Uniti alcune amministrazioni a maggioranza repubblicana hanno introdotto legislazioni restrittive in merito alla somministrazione di questo farmaco.

Secondo chi le promuove si tratterebbe di decisioni prese per il bene dei minori e delle minori, ma la maggior parte della comunità scientifica è di tutt’altro avviso.

La scienza

La triptorelina agisce sulle gonadotropine, gli ormoni che stimolano le gonadi a produrre progesterone ed estrogeni, riducendone l’attività. In altre parole, venendo inibita la produzione degli ormoni responsabili dello sviluppo sessuale si interrompe in modo temporaneo e reversibile la pubertà. Questo permette ai ragazzi e le ragazze di avere più tempo per esplorare la loro identità senza la pressione dei cambiamenti corporei che potrebbero intensificare i sentimenti di inadeguatezza, ansia e tristezza legati alla percezione di incongruità tra genere e sesso biologico.

Uno studio condotto insieme ad altri colleghi dallo psichiatra Jack L. Turban, e pubblicato dalla rivista Pediatrics, ha dimostrato che l’utilizzo della triptorelina riduce del 70 per cento i tentativi di suicidio nei ragazzi transgender, gender non conforming e non binary. Si tratta di un dato estremamente importante se si tiene conto che, anche a causa della discriminazione sociale e, a volte, familiare, il 40 per cento dei giovani trans compie gesti autolesionistici.

Come stabilito dalle linee guida dell’Aifa, per assumere il farmaco i minori devono essere in uno specifico stadio di sviluppo puberale, determinato dalla scala di Tanner, e devono avere una diagnosi formale di disforia di genere fatta da un team multidisciplinare di specialisti.

Disforia e incongruità di genere

«Non ho mai sentito parlare di disforia se non quando ho ricevuto la mia diagnosi: vuol dire che siamo matt*». Le parole dell’attivista Luce Nencini inquadrano bene un altro aspetto della vicenda che ha per protagoniste le persone trans.

La disforia di genere è un’etichetta diagnostica – contenuta nel Dsm-V – che descrive la condizione di disagio psicologico provocata quando si avverte che la propria identità e il genere assegnato non coincidono. Tale sofferenza, che spesso è acuita a causa di pregiudizi sociali, non accomuna tutte le persone transgender, gender variant o non binary che, al contrario, non provando alcun disagio, la ritengono stigmatizzante.

Tuttavia, per poter accedere ai percorsi di transizione è necessario avere una diagnosi proprio di disforia di genere. Insomma, per poter adeguare la propria identità psichica al proprio corpo è necessario farsi diagnosticare una patologia e, di conseguenza, sentirsi “obbligati” a essere sofferenti pur non essendolo.

La Commissione

«Le nostre associazioni sono state estromesse perché non volevano dare a vedere quello che invece è chiaro a tutti cioè che questo è un attacco politico». È la denuncia che proviene dal Mit, Movimento identità trans, per bocca di Roberta Parigiani, portavoce politica dell’associazione.

Tra i 29 membri della maxi commissione nominata da Schillaci e Roccella ci sono, oltre a esperti di bioetica e professionisti, ben otto alti funzionari dei ministeri il cui intento, neanche troppo celato, è quello di dare un indirizzo fortemente politico alle linee guida per l’incongruenza di genere. Ci saranno Marco Mattei, capo di gabinetto del ministero della Salute; Maria Rosaria Campitiello e Giulia Ferrari (rispettivamente capo della segreteria tecnica e vice capo di Gabinetto); Francesco Saverio Mennini, capo del dipartimento di Programmazione e del farmaco; Giovanni Leonardi, capo ad interim della Prevenzione.

Oltre a loro, però, spicca la presenza tra gli esperti di Assunta Morresi, docente di chimica all’università di Perugia nonché vice capo di gabinetto del ministero della Famiglia, nota per la sua battaglia contro il ddl Zan, la negazione delle identità queer, il sostegno all’esistenza della teoria gender (che, invece, non esiste!) e, non ultimo, la contrarietà per la pillola abortiva, la Ru486.

«Non è un mistero il fatto che la tematica delle Ivg (interruzioni volontarie di gravidanza, ndr) e quella della libertà di autodeterminazione vadano a braccetto. Sono tematiche molto sensibili. Tutte le volte questo governo, col suo occhio bacchettone, spinge il dibattito verso un profilo moralistico. In realtà, il nostro corpo è qualcosa che appartiene solo a noi», spiega Parigiani.

E aggiunge: «Proprio in merito all’Ivg, qualcuno prima o poi ci dirà come la loro ostilità all’aborto è compatibile con la loro prospettiva secondo cui una persona trans che rimane incinta, poi non dovrebbe essere in grado di generare la vita e quindi deve abortire». Il riferimento è alla polemica politica scaturita a seguito della notizia della storia di Marco, un giovane romano che, a transizione quasi ultimata, ha scoperto di essere al quinto mese di gravidanza.

Oltre alle rimostranze delle associazioni trans anche 259 genitori de* ragazz* transgender, gender variant o non binary hanno espresso la loro preoccupazione per il futuro de* propr* figl*. «Pretendiamo che si smetta di mettere a rischio le vite dei nostri figli e delle nostre figlie sia a livello sanitario che a livello sociale, poiché le pieghe che questa azione sta prendendo sono molto pericolose. È inaccettabile che una interrogazione e un’ispezione espongano in questo modo delle giovani persone e mettano a rischio le vite di famiglie che non hanno fatto nulla tranne che tutelare il benessere dei propri figli e delle proprie figlie», hanno scritto in una lettera indirizzata alle istituzioni europee.

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