L’aggressione al popolo ucraino è «ingiustificabile», la Federazione russa «ha fatto ripiombare il continente europeo in un tempo di stragi, di distruzioni, di esodi forzati che fermamente intendevamo non avessero più a riprodursi dopo le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale».

Il messaggio che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha preparato per i congressisti dell’Associazione dei partigiani è solenne, soprattutto severo. Viene scolpito, parola per parola, il giorno prima al Quirinale. È un richiamo a valutare le dimensioni dell’aggressione russa, letto proprio con gli occhiali che stanno più a cuore ai partigiani, la lotta di liberazione e i valori della Costituzione.

«Il bersaglio della guerra non è soltanto la pretesa di sottomettere un paese indipendente quale è l’Ucraina», scrive Mattarella. «L’attacco colpisce le fondamenta della democrazia, rigenerata dalla lotta al nazifascismo, dall’affermazione dei valori della Liberazione combattuta dai movimenti europei di Resistenza, rinsaldata dalle costituzioni che hanno posto la libertà e i diritti inviolabili dell’uomo alle fondamenta della nostra convivenza. Sono i valori della Resistenza che, ancora una volta, ci interrogano».

Sembra un richiamo dovuto, quasi scontato, ai fondamentali dell’associazione. Non a caso, come riferisce l’Adnkronos, all’inizio della mattinata, molto presto, nelle grandi sale che cominciano ad affollarsi si sentono risuonare le note di Bella ciao, l’inno di tutte le guerre di liberazione; e naturalmente anche dei resistenti ucraini, in queste ore drammatiche.

Eppure i congressisti respingono il paragone con la Resistenza italiana. Lo ha detto più volte il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliaruolo, che però stavolta sceglie di non tornarci sopra forse proprio per non polemizzare con Mattarella. Al suo posto lo fa Fabrizio De Sanctis, presidente dell’Anpi di Roma: «È forzato il paragone tra ucraini e partigiani, non è un paragone riferibile all’attualità. È forzato perché paragoniamo due periodi storici differenti: allora c’era una guerra mondiale, oggi dobbiamo fare di tutto per evitare che una guerra mondiale esploda. Allora si combatteva anche per la pace, è una situazione difficile da assimilare a quella di oggi. Abbiamo un aggredito e un aggressore che ha violato le leggi internazionali, ma non tutto è riconducibile allo schema della Seconda guerra mondiale».

E invece è il paragone che, cambiate le cose da cambiare, il Quirinale sembra indicare. Insieme a un richiamo speciale al ruolo dell’Anpi, che invece – tranne il suo presidente emerito Carlo Smuraglia – esprime una solidarietà con il popolo ucraino ma senza arrivare al sostegno concreto dei suoi combattenti, militari e civili. «Il congresso dell’Anpi, l’associazione che raccoglie l’eredità di coloro che hanno lottato per la libertà», è la sottolineatura, l’auspicio, quasi il monito, «sarà certamente, ancora una volta, un momento importante di testimonianza e di riflessione. Di solidarietà attiva con chi sta resistendo, di ricerca di una pace su cui ricostruire civiltà e diritto».

«Solidarietà attiva», è la formula usata, non «neutralità attiva» che invece è una delle parole d’ordine della piazza pacifista di Roma dello scorso 5 marzo. Una preoccupazione che sembra trasparire anche dall’intervento registrato di Liliana Segre, annunciata da Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Cervi, come «la nostra guida morale». Segre ha parole di affetto, eppure anche lei mette in guardia l’Anpi dal “né né”. Non lo dice così, dice: «La resistenza del popolo invaso rappresenta l’esercizio di quel diritto fondamentale di difendere la propria patria. Non è concepibile nessuna equidistanza, se vogliamo essere fedeli ai nostri valori dobbiamo sostenere il popolo ucraino». Scatta l’applauso, tutti in piedi, eppure da qui il no alle armi alla resistenza ucraina, nonostante Bella ciao, nonostante tutto, resiste.

© Riproduzione riservata