Mentre in Europa si discute di memoria condivisa e di condanna dei totalitarismi, Fratelli d’Italia porta dentro il Parlamento europeo una mostra che celebra il «camerata» Grilz, ex dirigente del Fronte della Gioventù e Avanguardia nazionale. Senza menzionarne l’appartenenza politica, le violenze, i legami e il contesto in cui maturò la sua esperienza
Approda a Strasburgo l’orgoglio neofascista. Nel Parlamento europeo, istituzione nata sulle macerie del fascismo e del nazismo, Ecr, il gruppo di cui fa parte Fratelli d’Italia, presenta la mostra “Con coraggio e libertà. Almerigo Grilz 1953–1987”, dedicata ad Almerigo Grilz, presentato come «primo giornalista italiano ucciso in battaglia nel dopoguerra».
Accolta con entusiasmo da militanti meloniani e nostalgici del loro fuoco di gioventù, l’esposizione è stata inaugurata da esponenti di primo piano della destra europea: Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia a Strasburgo; Nicola Procaccini, copresidente del gruppo Ecr; Marion Maréchal; Antonella Sberna, vicepresidente del Parlamento europeo. Presenti anche Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, che con Grilz fondarono negli anni Ottanta l’Albatross Press Agency.
La mostra, composta da dodici pannelli, ripercorre «l’epopea professionale» di Grilz fino alla morte, avvenuta nel maggio del 1987 in Mozambico. Dopo un film a lui dedicato e una precedente esposizione a Milano, l’omaggio arriva ora nel cuore delle istituzioni europee. «La mostra si inserisce in un percorso identitario, il racconto di storie negate», ha spiegato Fidanza, collegandola alle esposizioni sulle foibe e su Sergio Ramelli organizzate negli ultimi mesi a Bruxelles.
Da Avangurdia nazionale al Mozambico
Una storia negata ma ben perimetrata nella sua narrazione. L’esposizione, infatti, omette un elemento centrale e documentato della biografia di Grilz: il suo lungo e pubblico impegno nell’estrema destra neofascista italiana. A Trieste, sua città, Almerigo Grilz è ricordato come dirigente del Fronte della Gioventù e militante proveniente da Avanguardia nazionale. Negli anni Settanta fu coinvolto in aggressioni squadristiche, in particolare contro studenti antifascisti e cittadini sloveni; nel 1976 venne sospeso dall’Università per violenze durante scontri politici e risultano a suo carico denunce per apologia di fascismo.
The Crazy Italian, come veniva chiamato dai colleghi spicca in diversi atti giudiziari e in documentazione storica. La sua presenza in Libano, nei primi anni Ottanta, compare anche in relazioni investigative che segnalano i contatti tra militanti neofascisti italiani e ambienti armati mediorientali. In un’informativa del 1980 della procura di Bologna nel filone d’inchiesta sui rapporti tra FdG e Nar si legge: «Più volte denunciato per rissa, lesioni, apologia del fascismo etc», è rinviato a giudizio per tentata ricostituzione del partito fascista. Nella sentenza della Corte d’Assise di Bologna del 1988 sulla strage del 2 agosto si fa riferimento alla presenza, già nel 1980, di estremisti italiani – tra cui Grilz – nei campi di addestramento in Libano frequentati da militanti romani e triestini.
La sua morte avviene nel maggio del 1987 in Mozambico, durante la guerra civile che devastò il Paese per oltre un decennio. Grilz si trovava al seguito delle milizie antigovernative della Renamo, movimento sostenuto dal regime dell’apartheid sudafricano e responsabile, secondo le Nazioni Unite e numerose organizzazioni internazionali, di stragi di civili, distruzione di scuole e ospedali, milioni di sfollati e centinaia di migliaia di morti, in gran parte donne e bambini. Si stima che il Renamo abbia ucciso più di 100.000 mozambicani dal 1987. È in quel contesto che Grilz viene colpito mortalmente.
Narrazione selettiva
Dalla mostra non emerge nessuna contestualizzazione. Inizia con «Il giovane Almerigo» e la laurea nel 1981 in legge all’età di 28 anni e termina con «L’ultimo viaggio di Almerigo». Non viene spiegato con chi Grilz si trovasse, né quale fosse la natura delle forze armate che lo accompagnavano. La figura del reporter viene isolata dal contesto politico e militare, trasformata in un simbolo di “coraggio” e “libertà” privo di ombre.
Un’operazione che segue il desiderio del governo: costruire una egemonia culturale nuova fiammante, riabilitando figure provenienti dall’universo neofascista, ripulite del loro passato e reinserite in una narrazione pubblica selettiva. Il riferimento esplicito, fatto dagli organizzatori, a un «percorso identitario» chiarisce il quadro: non una ricostruzione storica complessa, ma un racconto militante, quasi istituzionale che parla al presente politico, riscrivendo la storia.
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