Il Cnel boccia il salario minimo, ma sul voto del documento finale si spacca in maniera inedita: passa con 39 sì, 15 no – fra cui quelli dei rappresentanti di Cgil, Uil e Usb –, in otto non votano. La linea Meloni, seguita e forse persino eseguita dal presidente Renato Brunetta, non consente neanche di accettare i due emendamenti presentati in mattinata, durante l’assemblea plenaria, da cinque degli otto esperti nominati dal Colle, tutti “tecnici”, Marcella Mallen, Enrica Morlicchio, Ivana Pais, Alessandro Rosina e Valeria Termini (che poi votano no).

Nel pomeriggio, in una conferenza stampa preparata per un trionfo che invece non c’è stato, Brunetta ringrazia Meloni per avergli affidato il compito di redigere il parere «sul lavoro povero e il salario minimo». Era successo lo scorso 11 agosto quando la premier aveva convocato le opposizioni a palazzo Chigi, consapevole che bocciare a freddo la loro proposta – era l’intenzione della maggioranza – non le avrebbe giovato ai consensi. Di lì l’incarico al Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, organo previsto dall’articolo 99 della Costituzione, considerato «un carrozzone da cancellare» dalla riforma Renzi.

Ma in realtà è Meloni che deve ringraziare Brunetta: la destra brancolava, e il Cnel fornisce un alibi e anche uno straccio di ragionamento da seguire per respingere la proposta delle opposizioni. Il presidente fa dello spirito, finge di concordare con il segretario Cgil che sabato scorso ha portato in piazza 200mila persone in difesa della Carta ma anche per il salario minimo: «Sono d’accordo con Landini: stare sulla strada maestra della Costituzione». Solo che il documento finale boccia il salario minimo invocando temerariamente la Carta, e affida l’aumento dei salari alla contrattazione collettiva.

Tariffa minima retributiva

Brunetta sperava nell’unanimità dei suoi, ma i cinque esperti del Colle hanno presentato ben due emendamenti. Il primo chiedeva la correzione di alcune affermazioni e dati contestabili presenti nel testo finale, più o meno errori formali. Il secondo, quello più pesante, proponeva «la sperimentazione della tariffa retributiva minima normata». «Il nostro era un modo costruttivo di contribuire al lavoro della commissione», spiega la professoressa Termini, relatrice del secondo emendamento, ordinaria di Economia politica all’Università Roma Tre. «È giusto rafforzare la contrattazione nazionale, ma non basta. Abbiamo trovato una possibile complementarietà con il testo, proponendo l’introduzione sperimentale di una tariffa minima normata a tutela dei lavoratori più fragili e non pienamente protetti dalla contrattazione collettiva. È una risposta a carenze messe in luce dal documento stesso, quella che danno tutti i paesi europei dove la contrattazione collettiva è forte, come Belgio, Germania, Olanda, Portogallo e Spagna». Per esempio l’assenza di dati monitorati, o i lunghissimi ritardi nel rinnovo dei contratti, richiamati in parlamento anche dal ministro dell’Economia Giancalro Giorgetti. «Aspetti che dimostrano che il contratto nazionale è essenziale ma non basta a coprire molti settori, e non solo quelli più fragili, penso all’agricoltura, al lavoro domestico, alla logistica».

Ma niente da fare, il mandato del presidente Cnel era quello di bocciare il salario minimo senza se e senza ma. Certo sperava nel no all’unanimità. E non è un bene per lui che gli emendamenti siano venuti proprio dai componenti nominati dal presidente Sergio Mattarella. Che a metà settembre aveva significativamente parlato della «povertà delle offerte retributive disponibili» proprio di fronte all’Assemblea di Confindustria.

Opposizioni in trincea

A questo punto la destra ha il suo alibi, gliel’ha fornito il Cnel, per bocciare il testo che introduce i 9 euro lordi orari per legge. Un testo che tornerà il 17 ottobre alla Camera. Ma circola voce che la maggioranza lo rimanderà in commissione per assumere la proposta Cnel. Che poi ricalca la proposta di Forza Italia, l’ex partito di Brunetta. Contrarie le opposizioni, che dopo tanto tempo si ritrovano d’accordo. «Il tentativo di Meloni di usare il Cnel per affossare la proposta di salario minimo delle opposizioni è miseramente fallito», secondo Elly Schlein, la divisione all’interno del Cnel «è così forte da far si che le conclusioni offerte al governo ne risultino indebolite». «Vogliono fare una melina sulle spalle dei lavoratori sottopagati» per Giuseppe Conte, «contrasteremo in tutti i modi questo disegno scellerato. Con noi c’è la forza dei cittadini e sono già centinaia di migliaia coloro che hanno sottoscritto la petizione per fare sentire la loro voce».

E Carlo Calenda su X, ex Twitter: «Il Cnel si è spaccato. Ora tocca a Meloni dire una parola sulla posizione del governo e su come affrontare il problema del lavoro povero». Per le opposizioni il ritorno del testo in commissione «è irricevibile», dice Arturo Scotto, «è una fuga vigliacca dalla crisi del potere d’acquisto di milioni di persone».

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