La scelta last minute, fatta da Pd e Cinque stelle insieme ad Angelo Chiorazzo, di trasformare con un colpo di bacchetta Domenico Lacerenza, onesto e ignaro oculista – direttore di unità all’ospedale San Carlo di Potenza – in candidato del centrosinistra a sua insaputa, catturandolo a tradimento all’uscita dalla sala operatoria (lo ha raccontato lui) e catapultandolo in una fossa di serpenti che si allunga da Roma a Potenza e ritorno, giovedì si è tramutata in un vaudeville.

Il povero Lacerenza, intercettato dai cronisti in mattinata, ha ammesso di cadere dalle nuvole. Della candidatura «l’ho saputo ieri pomeriggio (mercoledì, ndr), poche ore prima che la notizia diventasse di dominio pubblico. Mentre uscivo dall’ospedale, come faccio tutti i giorni, dopo aver fatto otto interventi chirurgici, mi è arrivata la telefonata». Poi ha raccontato di non aver sentito né Elly Schlein né Giuseppe Conte: «Non ho mai avuto l’onore. Se hanno avuto buone informazioni su di me è perché sono un pragmatico».

Non ho sentito leader anzi sì

E di pragmatismo ce ne vorrà parecchio, per uscire dal guaio in cui si è infilato. Più tardi, dopo che nel frattempo era successo di tutto – dissociazioni, appelli all’ex candidato presidente Chiorazzo, minacce di rotture, accuse di dirigismo romano – e dopo aver avuto il primo impatto pesante con una riunione di coalizione – dove peraltro c’era anche Azione, che però viene scacciata via dal M5s – Lacerenza ha cercato di parare i colpi: «Sono certo che l’individuazione del mio nome da parte del tavolo nazionale non sia stata avulsa dalle istanze giunte dai territori». Poi ha corretto il tiro, con prosa gerundia: «Nell’immediatezza confrontandomi sia con la segretaria Schlein che con il presidente Conte abbiamo convenuto sulla necessità di tradurre gli impegni in un programma, giudicando tutti insieme indispensabile il confronto fattivo con le forze politiche a livello regionale. Per questo ora il lavoro deve essere celere e intenso».

Il programma, infatti, non c’è. Perché poco più di 24 ore fa il candidato mai avrebbe pensato di essere scelto per fare una cosa che non gli passava neanche per la mente. Sembra un film. Ma una commedia, e degli equivoci.

Dunque il nome di Lacerenza non chiude la giostra delle ultime settimane: stop and go, riunioni convulse, rose di candidati bocciati uno ad uno (per lo più da Conte), brividi e minacce che correvano da un cellulare all’altro in direzione Potenza-Roma e ritorno.

Per tutto il giorno fra il capoluogo lucano e la Capitale sono rimbalzati e rimbombati nuovi ripensamenti, nuovi contrordini, nuovi appelli e contrappelli. Il veto posto da Conte a includere nell’alleanza Azione fa imbizzarrire una parte dello stesso Pd. A Potenza perché seppellisce ogni possibilità di vittoria, in una regione in cui sulla carta il centrosinistra versione large ha i numeri per battere l’uscente Vito Bardi, che ha già dalla sua Italia viva e che ora fa ponti d’oro agli altri centristi d’oltre cortina.

Malumori nei dem

Ma poi perché quello che a Roma sembra digeribile, ovvero il «tridente» fra Pd, M5s, e la corazzata civica di Angelo Chiorazzo (che ha rinunciato alla candidatura per amor di patria, ma resta invocato sulla scena lucana), a Potenza è assai più indigesto. Dopo la sconfitta abruzzese, il movimento si è convinto che i suoi non digeriscono la presenza di Azione, e non vanno a votare. E se Calenda e Conte non si sopportano (politicamente parlando), in Basilicata invece tutti sanno che l’ex presidente della regione Marcello Pittella, big di Azione in loco, era orientato ad allearsi con il centrosinistra. Ma non con Chiorazzo: e infatti l’ex candidato e il presidente M5s, nelle concitate conversazioni degli scorsi giorni, si erano trovati d’accordo nell’immaginare un’alleanza «coesa», «omogenea»: tradotto, senza Pittella. Che ne ha preso atto: «Dopo mesi di spettacolo indecoroso e di veti reciproci il M5s, Pd e Basilicata casa comune (il movimento di Chiorazzo, ndr) hanno finalmente scelto il candidato della coalizione di sinistra. Lo abbiamo appreso dalle agenzie di stampa senza che ci sia stato alcun confronto o discussione, come abbiamo ripetutamente richiesto. La sinistra ha oramai un leader che dà le carte, detta le regole e definisce il perimetro della coalizione, si chiama Conte. Auguri al candidato». Ma c’è un problema: Lacerenza è se non proprio amico, collega di Pittella, nello stesso ospedale: e come fa a mandarlo a quel paese?

E poi il Pd: non può fare la parte di quello che esclude un pezzo, piccolo o grande, del centrosinistra. La minoranza interna è favorevole agli accordi con i Cinque stelle, purché “bilanciati” da accordi con il “centro”: e se Renzi è ormai dato per perso (in Basilicata già sostiene la destra), Calenda è considerato indispensabile, nonostante le sue professioni contro il «campo largo» (ormai lo chiama «campo morto»). «Non ci possono essere veti reciproci, vale per la Basilicata, per le amministrative e in prospettiva per le politiche», dice il senatore Alessandro Alfieri, dell’area di Bonaccini.

Silenzio imbarazzato del Nazareno. Per Schlein, che pure considera l’alleanza con M5s prioritaria, c’è comunque un problemino di contraddizione: se si vanta di essere «testardamente unitaria», non può escludere un alleato. E neanche accettare l’immagine di una segretaria che si fa dettare le condizioni da Conte.

M5s uniti, ma con chi?

Fin qui a livello nazionale. A livello locale va in onda un altro film, questo però girato in Super Otto: l'ex Iv Fabio De Maria, sindaco di Latronico, uscito dal partito di Renzi per sostenere Chiorazzo, chiede all’imprenditore di «non mollare»: «Non possiamo essere influenzati da vicende nazionali. Ci vuole una rivoluzione popolare e autonomista». Nel Pd circola un appello che definisce «oligarchica» l’indicazione «di uno stimato professionista completamente a digiuno di politica» per «sottostare agli incomprensibili veti del M5S». Ci ripensino: esistono «le condizioni politiche per un ravvedimento operoso», per «azzerare» tutto. Poi la minaccia: se no «valuteremo le condizioni per promuovere autonomamente un innovativo polo dell’orgoglio lucano». Tutto balla. I siti locali riferiscono che persino dentro i Cinque stelle c’è il maremoto. Ma Arnaldo Lomuti, coordinatore regionale, nega: «La scelta ci trova uniti». Uniti, dice così, ma uniti a chi ancora non si sa.

© Riproduzione riservata