L’influenza va e viene da giorni: ha impedito a Giorgia Meloni di presenziare agli auguri di Natale del capo dello Stato Sergio Mattarella ma non alla recita scolastica della figlia, le ha permesso di prendere un volo Roma-Milano per Natale ma la ferma di nuovo per la consueta conferenza stampa di fine anno. L’incontro coi giornalisti doveva tenersi il 21 dicembre ma anche in quel caso l’influenza l’ha fatto slittare e ora è destinato a data ancora da destinarsi. Se questa data dovesse venire posticipata addirittura nel 2024, si tratterebbe di un caso più unico che raro, almeno negli ultimi anni.

Cause di forza maggiore, spiegate nel comunicato stampa dell’Ordine dei giornalisti con il «persistere dell'indisposizione della presidente» e «gli organizzatori restano in attesa di indicazioni da parte della presidenza del Consiglio per la nuova data».

Se questa è la ragione ufficiale – e nessuno ha ragione di dubitarne – e la premier è bloccata a letto come milioni di italiani durante i mesi invernali, è altrettanto vero che questa influenza è quasi provvidenziale nel dare respiro a Meloni.

Nel dietro le quinte della maggioranza, infatti, si rincorrono diverse ricostruzioni. Una di queste sarebbe strettamente legata alla questione Superbonus, scoglio uscito dalla porta con il veto di Giorgetti ad una proroga nella Finanziaria ma che potrebbe rientrare dalla finestra nel decreto Milleproroghe. Sarebbe in corso un braccio di ferro molto duro con il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, che dopo il no al Mes punta proprio sulla proroga del superbonus come misura simbolo di FI a tutela dei cittadini che hanno già iniziato i lavori e degli artigiani.

Proprio questo elemento sarebbe stato certamente una domanda da conferenza stampa, ma i documenti non sarebbero ancora pronti come nemmeno la messa a punto del decreto. Risultato, la provvidenziale influenza offrirà a Meloni il tempo tecnico di trovare una mediazione con Tajani e di capire come gestire il problema, evitando risposte evasive davanti alla stampa o possibilmente smentite in futuro.

La legge bavaglio

La conferenza stampa, infatti, era stata anticipata da foschi pronostici di vigilia, con la categoria giornalistica sul piede di guerra per quella che è stata definita la “legge bavaglio”: il via libera alla Camera dell’emendamento Costa alla legge di delegazione europea sulla presunzione di innocenza che impedisce ai giornalisti di pubblicare con virgolettati le ordinanze di custodia cautelare. Addirittura, la Federazione nazionale della stampa aveva deciso di contestare il governo disertando proprio la conferenza stampa. «Non è una esortazione a disertare un appuntamento istituzionale al quale i colleghi vengono inviati per lavoro, ma l'inizio della mobilitazione che il sindacato dei giornalisti metterà in campo contro provvedimenti che sanno di censura e per la dignità della professione. La prima protesta della Fnsi sarà una passeggiata davanti ai palazzi del potere con il bavaglio sulla bocca», scrivono , la segretaria generale Alessandra Costante e il presidente Vittorio di Trapani. Ora l’evento in sè rimane in stand-by ma non la protesta.

Contro i giornalisti, infatti, il governo sta facendo procedere anche un disegno di legge di Fratelli d’Italia che, accanto all’abrogazione del carcere per il reato di diffamazione, contiene anche pene pecuniarie salatissime che rischiano di tramutarsi in deterrenti per le inchieste.

Le mosse del governo, tuttavia, sono solo il segnale di una insofferenza che non solo la premier ma anche altri membri dell’esecutivo hanno dimostrato nel confronti della stampa, scegliendo spesso lo strumento della querela contro gli organi di informazione.

La fase difficile

Anche al netto dei problemi del governo con la stampa intesa come categoria, Meloni si sarebbe comunque trovata a dover rispondere di una serie di scelte prese dalla sua maggioranza. Sul piano delle scelte di politica economica e sulla falsariga dell’audizione di ieri del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, la premier avrebbe dovuto anzitutto spiegare politicamente l’accelerazione impressa da Fratelli d’Italia sul voto per il no alla ratifica del Mes, che ha provocato reazioni nelle cancellerie europee e rischia di essere un marchio pericoloso per l’Italia in vista del futuro. La premier avrebbe certamente dovuto dare un giudizio anche sul nuovo patto di Stabilità che – come anche il Mef ha confermato – non può essere considerato una vittoria ma un compromesso. Scelte, queste, prese in modo inatteso nell’arco della settimana della manovra di Bilancio, arrivata blindatissima in aula (tanto da provocare l’irritazione anche dei parlamentari di maggioranza, costretti alla maratona in commissione senza la possibilità di presentare emendamenti se non su poche virgole). Poi, in vista del nuovo anno, le sarebbero stati posti interrogativi sulla molto discussa e criticata riforma costituzionale del premierato, che dovrebbe andare di pari passo alla altrettanto complessa riforma dell’Autonomia differenziata. Infine, solo per toccare i temi centrali, Meloni avrebbe dovuto fornire qualche aggiornamento sul tema migranti, sia nella costruzione dei nuovi annunciati cpr in Italia che in quelli in Albania, per ora ora fermati dalla Corte costituzionale di Tirana.

Certamente si tratta di domande solo rimandate e non certo impossibili da porre alla premier, che prima o poi dovrà presentarsi davanti alla stampa per rendere conto del lavoro svolto dal suo governo in questo 2023. Certo è che ogni giorno di convalescenza per Meloni è anche un giorno di provvidenziale silenzio in più.

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