Nell’immaginario politico di Silvio Berlusconi, la figura di Ronald Reagan ha sempre esercitato un grande fascino. Lo conferma anche in questi giorni dove, prima in un’intervista a Libero, poi con un post su Facebook, ha detto di sognare, anche per l’Italia, la nascita di un grande partito conservatore modellato sul partito repubblicano americano, con tanto di primarie e di dibattiti presidenziali. Una formazione politica larga incentrata sui valori «liberali e cristiani» e sul «garantismo».

Secondo il leader di FI anche il centrodestra italiano si potrebbe riunire sotto un grande ombrello e dietro un leader eletto per un periodo di tempo indefinito, dato che l’Italia non è una repubblica presidenziale, per formare un punto di riferimento ineludibile per l’elettorato conservatore.

Al netto della praticabilità o meno di questa visione in un momento storico di grande frammentazione politica, e senza toccare il tasto dolente di chi sarebbe il leader di questa formazione (Matteo Salvini, Giorgia Meloni, lo stesso Berlusconi?) si nota che l’idea dell’ex premier non ha nulla a che vedere con la realtà. E che l’ex Cavaliere, come spesso accade, è fermo a un glorioso passato.

Divisi alla meta

Da quando, nel 2009, George W. Bush ha abbandonato la Casa Bianca, il partito repubblicano si interroga su cosa fare. Se continuare sulla strada del conservatorismo compassionevole, ovvero puntare su un modello moderato di basse tasse e di relativa tolleranza del fenomeno migratorio, mitigando gli aspetti più duri del neoliberismo e puntando su aiuti e sgravi alle famiglie.

Oppure scegliere un’altra strada, quella dello scontro totale con un avversario sempre più vasto, composto ovviamente dal partito democratico, dal suo leader pro tempore e dai media mainstream, ovviamente collusi coi Democratici.

Con l’avvento alla presidenza di Donald Trump, questa frattura sembrava composta o quasi: i Repubblicani mainstream hanno sostenuto Trump perché, in fin dei conti, garantiva un fisco indulgente nei confronti dei redditi più alti e delle grandi multinazionali e anche perché in quel quadriennio si è potuto trasformare il sistema giudiziario federale in senso conservatore, nominando tre giudici alla Corte Suprema e centinaia di altri magistrati a livello federale.

Gli estremisti, invece, lo hanno fatto perché Trump sposava appieno le guerre culturali a loro tanto care: contro i media, contro l’immigrazione e contro le istituzioni globali come l’Onu, l’Organizzazione mondiale della sanità e persino la Nato. Un neo isolazionismo che faceva tanto «incazzare i progressisti» (traduzione letterale dello slogan «Own the libs») e che finalmente dava a quel mondo radicale fondato sul risentimento bianco un proprio campione che fosse accettato anche dal mondo mainstream.

Dove Pat Buchanan, Sarah Palin e Ron Paul avevano fallito, Donald Trump era riuscito appieno. Finita in modo caotico la sua presidenza, il dilemma si è riproposto, ancora con una forza maggiore dopo che il suo appeal elettorale, nella tornata del midterm 2022, si è mostrato incrinato, per non dire quasi dissolto. Non è finito però quel radicalismo che alla Camera dei Rappresentanti è incarnato dall’House Freedom Caucus, una fazione erede del Tea Party che ha dato tanti grattacapi alla presidenza di Barack Obama.

House Freedom Caucus

Oggi, con rappresentanti come il texano Chip Roy e il floridiano Matt Gaetz, rappresenta invece l’ultima incarnazione del trumpismo crepuscolare, che altro non vuol vedere che caos e vendetta nei confronti di quei Repubblicani infedeli, come il leader Kevin McCarthy, che per settimane ha cercato invano di assicurarsi il voto di questa fazione per diventare speaker dell’assemblea legislativa.

Su 222 deputati su 435, circa una ventina non ha confermato il proprio sostegno a un leader grigio, noioso e che ha cercato invano di compiacere tutti, dai moderati come David Valadao, noto per aver votato in modo favorevole al secondo impeachment di Donald Trump, fino appunto ai più estremi come la deputata della Georgia Marjorie Taylor Greene, in passato sostenitrice della teoria complottista di QAnon.

Un partito quindi scosso da una guerra civile della quale non si vede la fine e alla quale i Democratici di Joe Biden, già sollevati dall’aver evitato pesanti perdite nelle urne nel novembre 2022, guardano con malcelato divertimento. Alcuni deputati, per simboleggiare questa derisione, hanno portato delle confezioni di pop corn in aula.

Difficile dunque pensare che questo partito repubblicano possa rappresentare un modello per i partiti del centrodestra italiano. Non certo per quanto riguarda l’unità di intenti e di valori. Quel partito evocato da Berlusconi non esiste più, travolto dal ciclone trumpiano, che ancora non cessa di provocare fratture pesantissime all’interno di quello che, sotto la guida di Abraham Lincoln, era nato come un partito dei piccoli lavoratori autonomi che mostravano il loro disgusto per lo strapotere e i “profitti rubati” fatti dagli schiavisti del profondo sud. I cui eredi politici, ormai, si schierano proprio tra i sostenitori di Donald Trump.

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