Un anelito di verità è «indispensabile nelle aule di giustizia affinché i processi ancora in corso disvelino appieno le responsabilità di quel crudele attentato e degli oscuri tentativi di deviare le indagini». Questo il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il trentesimo anniversario della strage di via D'Amelio che uccise il giudice Paolo Borsellino il 19 luglio del 2022. Al centro le ombre sull’omicidio ad opera della mafia divenuto anche uno dei più gravi casi di depistaggio nella giustizia italiana.

A lui si è unito il presidente del Consiglio Mario Draghi con un comunicato divulgato poco dopo: «La sua morte rimane una macchia sulla nostra storia e sulle nostre istituzioni che non seppero proteggerlo».

Le parole di Mattarella

«Paolo Borsellino, come Giovanni Falcone e altri magistrati, fu ucciso dalla mafia perché, con professionalità, rigore e determinazione, le aveva inferto un colpo durissimo, disvelandone la struttura organizzativa e l’attività criminale» scrive Mattarella. La mafia «li temeva perché avevano dimostrato che non era imbattibile e che la Repubblica era in grado di sconfiggerla con la forza del diritto».

Nel giorno commemorativo del «terribile attentato di via D’Amelio, desidero rendere omaggio alla sua memoria e a quella degli agenti della sua scorta», e ha citato Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina: «Che con lui persero la vita a causa del loro impegno in difesa della legalità delle istituzioni democratiche».

La scuola

Il presidente della Repubblica aveva parlato del lavoro di Borsellino in occasione del trentennale per la morte del collega Falcone: «Insieme a Paolo Borsellino avviarono un metodo nuovo d’indagine, fondato sulla condivisione delle informazioni, sul lavoro di gruppo, sulla specializzazione dei ruoli; questo consentì di raggiungere risultati giudiziari inediti, ancorati ad attività istruttorie che poggiavano su una piena solidità probatoria».

Oggi ha sottolineato come Borsellino avesse a cuore non solo l’aspetto giudiziario, ma anche l’impostazione culturale della lotta alla mafia. Il settimanale Oggi ha pubblicato la lettera rimasta incompiuta di Borsellino in risposta a una studentessa che lo rimproverava per non aver preso parte a un evento in una scuola di Padova. In realtà il giudice con i giovani parlava spesso e volentieri, ma era spesso trattenuto dal lavoro e la lettera lo ha dimostrato ancora una volta.

Il presidente della Repubblica ha raccontato: «Aveva ferma convinzione che il contrasto alla mafia si realizzasse efficacemente non solo attraverso la repressione penale, ma soprattutto grazie a un radicale cambiamento culturale, a un impegno di rigenerazione civile, a cominciare dalla scuola e dalla società».

Preservarne la memoria «vuol dire rinnovare questo impegno nel tenace perseguimento del valore della legge, del diniego nei confronti del compromesso, dell’acquiescenza e dell’indifferenza che aprono la strada alla sopraffazione».

Il depistaggio

In occasione dell’anniversario, mentre la famiglia continua a chiedere da anni verità e un’azione dello stato, lo stesso su cui si allungano le ombre della strage, si raccolgono i messaggi di solidarietà. Il presidente aveva chiesto verità in occasione della commemorazione del 2018, arrivata a pochi giorni da quando venne depositata la sentenza sul depistaggio da parte della Corte d’Assise.

Mattarella come il procuratore antimafia, Giovanni Melillo, ha deciso di farsi avanti di nuovo. Melillo ha chiesto scusa, Mattarella ha ribadito il desiderio che si faccia luce: «Il suo ricordo impone di guardare alla realtà con spirito di verità, dal quale l’intera comunità non può prescindere». Appurare quanto accaduto consente «al paese di fare luce sul proprio passato e poter progredire nel presente». Draghi ha aggiunto: «Nel celebrare il lavoro di Borsellino, il suo coraggio, il suo senso del dovere e dello stato, dobbiamo continuare nella ricerca della verità sullo stragismo mafioso e intensificare il nostro impegno contro le mafie. È il modo migliore per commemorare chi ha perso la vita al servizio dell’Italia, per mostrare concreta vicinanza ai loro cari».

Finora però come denunciato da Fiammetta Borsellino, questa luce tarda ad arrivare. Alla fine del messaggio, Mattarella si è rivolto a lei, alla famiglia del magistrato, e ai familiari dei membri della scorta uccisi: «Nell’indelebile ricordo di Paolo Borsellino, rinnovo ai suoi figli e ai familiari degli agenti caduti, i sentimenti di gratitudine e di vicinanza dell’intero paese».

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