Il deputato rompe il silenzio e ribadisce di non essere coinvolto in alcuna inchiesta, ma solo di essere vittima di una «gogna pubblica». Poi l’attacco al suo ex partito, Fratelli d’Italia, che non lo ha difeso, facendolo scivolare ai margini
«Non sono indagato» ma ho subito «un lento, costante processo di emarginazione» da Fratelli d’Italia dopo essere stato «esposto a una gogna». Il deputato Manlio Messina, ex vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, rompe il silenzio sulle ragioni che lo hanno portato alle dimissioni dal partito di Giorgia Meloni, ribadendo di non essere coinvolto nell’inchiesta della procura di Palermo. Ma lanciando accuse pesanti verso i vertici nazionali di Fdi. Con la conferma di essere stato messo ai margini negli ultimi mesi. In una precedente dichiarazione aveva ammesso di non sentire Giorgia Meloni da mesi.
A frenare la sua ascesa c’è stato lo sfaldamento del gruppo dirigente di FdI in Sicilia, iniziato con il caso Auteri, suo amico e delfino, finito al centro della vicenda dei finanziamenti ad associazioni riconducibili a suoi familiari, svelati da Domani. Carlo Auteri ha poi abbandonato Fratelli d’Italia, abbracciando la causa della Dc di Totò Cuffaro. I guai giudiziari di altri esponenti di Fratelli d’Italia hanno fatto il resto, sebbene Messina non sia stato coinvolto.
La difesa di Messina
«Il 29 luglio, ho ricevuto dalla Procura di Palermo la comunicazione di non essere indagato nel procedimento penale che ha coinvolto, tra gli altri, alcuni esponenti di Fratelli d’Italia», spiega il deputato in una lunga nota, in cui ha confermato la piena fiducia verso Gaetano Galvagno, presidente dell’Assemblea regionale siciliana e fedelissimo di Ignazio La Russa, l’assessora al Turismo della regione Sicilia, Elvira Amata.
I due esponenti di FdI sono infatti sotto indagine: «Sono fermamente convinto dell’innocenza del Presidente Galvagno e dell’Assessore Amata, ai quali mi lega un forte sentimento di amicizia e stima e a cui auguro di dimostrare in tempi brevi la loro estraneità ai fatti ipotizzati dalla procura di Palermo», scrive Messina.
L’ex vicecapogruppo di FdI alla Camera se la prende poi con la stampa, «che tenta di sostituirsi alla magistratura» e lo avrebbe esposto alla «pubblica gogna» per fatti in cui respinge ogni coinvolgimento.
«Devo in ogni caso ribadire con altrettanta forza di non aver mai compiuto alcun atto illecito e, in particolare, di non aver mai chiesto, sollecitato o indotto chicchessia a concedere finanziamenti o comunque a compiere un qualsiasi atto inerente alla sua funzione, i quali, sono convinto, non hanno mai potuto rappresentare ‒ neanche per i soggetti indagati ‒ merce di scambio di qualsivoglia utilità», racconta ancora Messina.
«Continuare invece ad affermare, come ho letto su alcuni quotidiani, che io sia addirittura il “regista” di queste vicende, e ciò contro il diverso parere della procura di Palermo, dimostra, nella migliore delle ipotesi, una scarsa comprensione dei principi elementari del diritto e della procedura penale», prosegue Messina, che torna sulla “vicenda Cannes”, ossia l’investimento della regione per un’operazione di marketing nell’ambito del festival del Cinema, «ormai divenuta nell’immaginario collettivo sinonimo di scandalo».
Ma, insiste il parlamentare, «non sono iscritto nel registro degli indagati, né la procura di Palermo ha mai ritenuto di sentirmi quale persona informata sui fatti».
L’addio a Fratelli d’Italia
Da qui l’affondo a Fratelli d’Italia: «Ho condiviso in questi anni con i vertici nazionali del mio partito queste mie preoccupazioni che, lungi dal rappresentare una pretesa di immunità o difesa incondizionata, rappresentano un tema politico. Ma, in risposta, ho potuto solo registrare un lento, ma costante, processo di emarginazione». A quel punto ha preso atto e rassegnato le dimissioni anche dal gruppo di FdI.
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