La riforma costituzionale del premierato ha ancora un lungo percorso davanti, ma il modo in cui è stata fino a oggi raccontata dal centrodestra sta iniziando ad avere le prime ripercussioni rispetto agli organi costituzionali coinvolti, e in particolare al Quirinale.

Paradossalmente, a lasciare perplesso il Colle non sono stati i toni usati dal governo (che, al netto dell’enfasi sulla «madre di tutte le riforme» di Giorgia Meloni, non si sono mai alzati), ma il racconto edulcorato che si è scelto di fare dei contenuti di quella che, se andrà in porto, sarà la maggiore riforma istituzionale da almeno un trentennio.

Secondo fonti vicine al presidente Sergio Mattarella a essere poco apprezzata è stata proprio la scelta di ripetere come il premierato non tocchi il Quirinale, sino a travisare la realtà di quanto la riforma in realtà impatti – riducendoli – sui poteri del capo dello stato. Il governo ha preferito minimizzare la portata dell’intervento, sottolineando in ogni occasione utile che i poteri di garanzia del Colle non vengono toccati.

Ma le bozze della riforma sono state lette con attenzione al Quirinale, ed emergono almeno due cambiamenti fondamentali, che riducono in modo pesante le prerogative del capo dello stato. La prima è che il presidente della Repubblica non potrà fare altro che conferire l’incarico al premier eletto in via diretta (mentre oggi deve valutare l’esistenza di una maggioranza parlamentare, visto che gli elettori votano solo per Camera e Senato). La seconda è che, in caso di dimissioni, il Quirinale non avrà più il potere di conferire l’incarico a un nuovo premier, sulla base di una possibile nuova maggioranza.

Come evidente, si tratta di modifiche legittime nel caso in cui il centrodestra riesca ad approvarle, ma sostanziali, perché relegano il Colle a un ruolo ancillare rispetto a Palazzo Chigi.

Eppure, non più tardi di qualche giorno fa, la ministra delle Riforme, Elisabetta Casellati, ha commentato di aver «dato il potere di nomina e revoca al premier sempre per il tramite del presidente della Repubblica, quindi abbiamo accresciuto il potere del presidente della Repubblica, che non aveva certamente il potere di revoca».

Parole che sono solo una goccia nel mare di dichiarazioni della ministra, che sta tentando di sminare il cammino della sua riforma, ma che al Colle non sono sfuggite. Tanto più che Sergio Mattarella e Casellati si conoscono molto bene personalmente, sin dai tempi in cui lei era la presidente del Senato, e la ministra dovrebbe sapere quanto il presidente sia attento agli equilibri istituzionali e pretenda trasparenza dai suoi interlocutori.

Formalmente, tuttavia, dal Quirinale non trapela nulla se non la volontà del presidente di mantenere un profilo internazionale, distante dai goffi tentativi di mascherare la realtà della politica italiana. Mattarella è in visita ufficiale in Costa d’Avorio, dove ha incontrato il suo omologo Alassane Outtara, con cui si è complimentato per «la posizione sull’aggressione della Russia all’Ucraina, pienamente conforme ai valori e ai principi dell’Onu». Da lì, fonti del Quirinale fanno sapere che il presidente non commenterà mai una riforma costituzionale «che tocca i suoi poteri». Sottolineatura, questa, non certo casuale.

Le mosse del Colle

Eppure è evidente come negli ultimi mesi Mattarella abbia scelto di interpretare il suo ruolo in modo più attivo rispetto al passato, con prese di posizione forti su temi di attualità. L’ultima quella sul caso della maestra antifascista Ilaria Salis, detenuta in Ungheria in attesa di giudizio e le cui foto ammanettata a mani e piedi hanno sollevato polemiche sulla qualità della giustizia del paese di Victor Orbán.

Nel silenzio del centrodestra e del governo – da cui anzi sono arrivati anche attacchi alla famiglia – il Colle ha telefonato in prima persona al padre di Ilaria, Roberto Salis, per testimoniargli la sua vicinanza e la speranza che «fossero giorni diversi», dopo che per la quarta volta le sono stati negati i domiciliari.

A strettissimo giro, inoltre, è intervenuto anche sul caso della scuola di Pioltello che aveva deciso di chiudere per la fine del Ramadan. Dopo la furia degli attacchi di Lega e del ministro Giuseppe Valditara, sfociati anche nell’ipotesi di un tetto agli stranieri nelle classi, Mattarella ha preso carta e penna e risposto alla lettera della vicepreside Maria Rendani, scrivendo: «Apprezzo il lavoro che il corpo docente e gli organi di istituto svolgono nell’adempimento di un compito prezioso e particolarmente impegnativo». Parole che indirettamente hanno zittito le critiche scomposte dai ranghi della maggioranza.

Non più tardi del mese scorso, infine, Mattarella è intervenuto per stigmatizzare l’uso della violenza da parte delle forze dell’ordine nei confronti degli studenti a Pisa. Mentre il governo minimizzava la brutalità delle immagini, il suo è stato un richiamo durissimo sulla gestione dell’ordine pubblico: «Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».

La percezione, dunque, è che qualcosa sia cambiato nell’approccio del Quirinale al governo. Se prima la preferenza era data a colloqui riservati per non accendere contrapposizioni, ora Mattarella ha scelto la via di intervenire pubblicamente sulle questioni di portata istituzionale più delicate come la difesa dello stato di diritto, il principio di uguaglianza e l’ordine pubblico. Interventi netti e asciutti, che mai travalicano i confini dell’istituzionalità, ma che hanno sempre l’effetto di raffreddare i toni e le facili strumentalizzazioni, soprattutto quando investono privati cittadini. Anche a costo di infastidire Palazzo Chigi, che certo preferirebbe un Colle più silenzioso. Però, fintanto che le prerogative presidenziali rimarranno quelle sancite dalla Costituzione, il Quirinale continuerà a esercitare la sua funzione di garanzia.

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