Dopo la pubblicazione delle immagini di lei in manette, qualcosa si muove sul caso di Ilaria Salis: «Ieri è stata visitata in carcere dal procuratore capo di Budapest, che si è accertato delle sue condizioni di detenzione e con cui ha avuto un lungo colloquio personale. Poi ha incontrato una psicologa che parlava inglese e una assistente penitenziaria che parlava italiano», ricostruisce l’ambasciatore italiano a Budapest, Manuel Jacoangeli, che segue molto da vicino il caso della maestra elementare detenuta in Ungheria dal febbraio scorso, le cui foto ammanettata in aula al processo hanno aperto un caso diplomatico.

«Queste novità ci fanno ben sperare e hanno rasserenato anche i genitori», ha spiegato l’ambasciatore, che poi li ha incontrati per pranzo in ambasciata per discutere dei prossimi passi per lavorare a una possibile via d’uscita per la situazione della figlia.

La ricostruzione dell’ambasciatore

Lo scoppio della questione in Italia ha certamente movimentato la situazione: il ministro ungherese della Giustizia Bence Tuzson ha informato l’ambasciata di aver chiesto al procuratore capo un rapporto sulle condizioni di detenzione di Salis «e non appena sarà pronto verrà condiviso anche con noi», ha aggiunto Jacoangeli. In Ungheria i detenuti italiani sono 11 e vengono seguiti da vicino dall’ambasciata, che nel caso di Salis è stata avvertita dello stato di detenzione il 13 febbraio scorso – 48 ore dopo il fermo – e un funzionario ha partecipato all’udienza del 14 febbraio e poi a quelle successive.

Da quasi un anno uno degli addetti consolari segue quasi a tempo pieno il caso, ma le maglie del sistema giudiziario ungherese sono molto rigide e solo con il passare del tempo c’è stato un progressivo allentamento. Le autorità hanno accordato un sistema di comunicazione più ampio, con telefonate e visite più frequenti: «All’inizio il trattamento rendeva più difficile comunicare, da diverso tempo c’è una telefonata una volta a settimana con l’ambasciata e una visita in carcere una volta al mese».

Le manette

Nella complessa gestione del caso di questi mesi, tuttavia, la questione delle manette ai polsi durante le udienze è stata considerata marginale perchè è determinata da ragioni procedurali. Il ministro della Giustizia ungherese lo ha spiegato all’ambasciatore nel suo incontro dei giorni scorsi, in cui Jacoangeli gli ha fatto presenti le reazioni italiane a un trattamento così degradante: la procedura penale ungherese prevede che il detenuto partecipi all’udienza ammanettato nel caso in cui sia accusato di particolari reati. Un dato, quindi, su anche per gli avvocati di Salis era difficile intervenire.

«Ci siamo sempre raccordati con gli avvocati di Salis e direttamente con lei, che via via che incontrava situazioni problematiche ce le segnalava. Ci siamo mossi per risolvere il problema alimentare e ottenendo per lei una dieta in bianco e un cambio di cella, a causa delle condizioni sanitarie di quella in cui era detenuta», ha detto l’ambasciatore.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, dunque, era allertato sì della situazione di arresto di una cittadina italiana ma non gli erano state comunicate espressamente le condizioni in cui si svolgevano le udienze perchè quelle attenevano alla prassi del paese di arresto.

Ora che le immagini hanno mobilitato il governo italiano, l’attenzione della famiglia Salis è tutta rivolta a ottenere prima i domiciliari in Ungheria, necessari per ottenere poi di scontarli in Italia in attesa del processo. «L’ambasciata appoggerà tutte le richieste della famiglia», è la conclusione di Jacoangeli, «Ilaria Salis è una donna molto forte e combattiva, quando l’ho incontrata l’ho trovata determinata e impegnata a trovare una soluzione al suo caso».

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