Il 5 a 1 delle amministrative di ottobre non è ancora stato del tutto introiettato in casa centrodestra. L’analisi del voto nelle principali città capoluogo si è concentrata su due elementi: uno esplicito, la scelta tardiva dei candidati, e uno implicito, l’impreparazione dei “civici”, anche se di area, nel gestire campagne elettorali delicate come quelle di Milano, Roma e Napoli.

Il problema della selezione, comunque lo si guardi, è significativo. Soprattutto va trovata una soluzione rapida ed efficace per non ricadere nello stesso errore alla prossima tornata di amministrative del giugno 2022.

Tanto Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia sono tornati a discutere dell’ipotesi di individuare i candidati attraverso le primarie di coalizione. Il meccanismo in Italia viene usato da sempre dal Partito democratico. Per il centrodestra, invece, sarebbe uno strumento praticamente inedito.

Eppure la discussione è stata avviata, in particolare dentro la Lega. Il leader Matteo Salvini le ha ipotizzate nei giorni scorsi e ieri gli ha fatto eco il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, spiegando che le primarie di coalizione sono «la soluzione migliore» nel caso in cui «non si riesca a trovare un accordo».

Questo per una ragione semplice: si tratta di «una risposta immediata», visti i recenti ritardi nell’indicazione dei candidati. Colpa dei tavoli infiniti, delle titubanze e dei tanti assetti locali da tenere presenti, oltre che della necessità di accontentare i “desideri” dei tre partiti del centrodestra.

Le primarie, invece, avrebbero il pregio di far esprimere gli elettori in un meccanismo competitivo alla luce del sole, designando il migliore in una sorta di pre consultazione.

L’idea piace anche a Fratelli d’Italia, che da tempo aveva provato a introdurle come metodo. «Noi ce le abbiamo nello statuto, figuriamoci. In passato non siamo stati noi a dire di no», ha commentato la leader, Giorgia Meloni. Silenzio, invece, arriva da Forza Italia. «Le primarie non hanno mai scaldato i nostri cuori», taglia corto un deputato.

Il silenzio di FI

MAURO SCROBOGNA/LAPRESSE

Del resto vanno contro l’impostazione partitica costruita da Silvio Berlusconi, anche a livello di coalizione. Dagli anni Novanta la forza del centrodestra è stata infatti quella di essere, soprattutto sul territorio, una sorta di federazione, con tavoli in cui spartirsi le candidature e rafforzare l’alleanza un accordo per volta.

Non a caso il meccanismo ha permesso di mantenere solide le maggioranze regionali e comunali, anche quando i destini dei tre partiti si sono divisi a livello nazionale.

Le primarie, invece, introducono un elemento competitivo interno – opposto a quello concertativo fino a ora utilizzato – che schiaccia il partito più piccolo, che ora è Forza Italia, e genera uno scontro tra i due contendenti per la leadership.

Del resto, spiega un dirigente, «abbiamo sempre detto che siamo diversi dal Pd proprio perché sappiamo scegliere la classe dirigente e non abbiamo bisogno di metodi non trasparenti come le primarie, sempre a rischio di brogli».

Dentro Forza Italia, il sentire comune è che «andrà a finire come sempre quando parliamo di primarie: Salvini e Meloni mettono la pistola sul tavolo e poi la tirano via».

Schermaglie, insomma. Del resto la convinzione è che l’elettorato di centrodestra non risponda bene a meccanismi consultivi di questo tipo: troppa è la storia di partiti verticistici e la forza dell’affidamento al giudizio del leader.

Per questo, dice un deputato, per individuare presto i candidati la strada è una sola: «Iniziare nei luoghi deputati a ragionare sui nomi, a partire per Palermo».

 

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