Sceglie la festa nazionale dell’Udc a Roma, Giorgia Meloni, per incendiare la campagna elettorale per le regionali: «Io vengo da una comunità politica che è stata spesso accusata, ingiustamente, di diffondere odio», è l’incipit della presidente del vonsiglio: «Accusata dagli stessi che oggi tacciono, minimizzano o addirittura giustificano o festeggiano l’omicidio a sangue freddo di un ragazzo di 31 anni che aveva la colpa di difendere con coraggio le sue idee».

Il copione si ripete

Il riferimento è all’omicidio di Charlie Kirk negli Stati Uniti. Ma il bersaglio è la sinistra, in Italia. L’assist è servito da una dichiarazione del matematico Piergiorgio Odifreddi, definito «intellettuale della sinistra»: «Ha detto che sparare a Martin Luther King e a un rappresentante Maga non è la stessa cosa. Dobbiamo immaginare pene inferiori per chi spara a un esponente di destra? Credo sia arrivato il momento di chiedere conto alla sinistra italiana di questo continuo minimizzare o giustificazionismo della violenza contro chi non la pensa come loro. È ora di dire chiaramente che queste tesi sono pericolose, impresentabili e antitetiche a qualsiasi embrione di democrazia».

È il ritorno della leader di Fratelli d’Italia nel ruolo che conosce meglio: l’underdog. Lo schema è lo stesso che ormai quasi tre anni fa, all’esordio a Montecitorio, aveva segnato il suo discorso con cui ha chiesto la fiducia. «Provengo da un’area culturale confinata ai margini della Repubblica», disse allora. «Non ci arrenderemo, non indietreggeremo, non tradiremo». Dal palco dell’Udc il copione si ripete e lancia una campagna elettorale in bilico tra il vittimismo e il complottismo, senza dimenticare di mettere l’accento sul fatto che la sua legislatura è prevista durare un quinquennio: «C’è ancora molto da fare in questi due anni, lo faremo insieme saltando gli ostacoli».

Ricorda le due riforme costituzionali in cantiere: quella della giustizia per «spezzare il sistema correntizio che ha umiliato la magistratura» e il premierato per «archiviare la stagione dei governi tecnici». Proprio la «madre di tutte le riforme», che quasi due anni fa, il 5 novembre 2023, Meloni varava in consiglio dei ministri. Accantonata dopo la prima approvazione in Senato. L’undici settembre la conferenza dei capigruppo della Camera l’ha inserita infatti alla fine del programma trimestrale dell’Aula, cioè a fine novembre; una collocazione che la farà slittare ancora più in là, causa nuovi decreti.

Poco importa, sui profili ufficiali della premier la comunicazione di via della Scrofa punta sull’unico tema alla quale tutto il governo è invitato a riprendere. «È ora di denunciare questo clima di odio insostenibile». Ecco la base paradigmatica, l’origine logica della comunicazione dei prossimi mesi. Lo stesso spartito di sempre, reso più cupo dalle cronache oltreoceano e intonato da un coro che va dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che chiede di «abbassare i toni. Ci possono essere processi di emulazione» al vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani che rimprovera «in Italia troppi cattivi maestri che usano un linguaggio violento». Mentre la Lega di Matteo Salvini, nelle stesse ore del discorso di Meloni, sui social pubblica le foto di Roberto Saviano, Alan Friedman e Odifreddi: «Quando la violenza non viene condannata ma giustifica. Così certa sinistra mostra ancora una volta il suo vero volto».

Bonelli: «Indegna»

Le opposizioni reagiscono. Per il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, su X: «È l’ora di finirla di strumentalizzare e di fare la vittima su tutto. Il clima è esasperato dai cattivi maestri come il ministro Ciriani che ha paragonato Italia Viva alle Brigate Rosse. Meloni faccia dimettere il suo ministro e si scusi con le opposizioni». Per Angelo Bonelli, Europa Verde: «La morte di Kirk è stata un’atrocità. Ma accusarci di essere alla base di quel clima di odio è un’operazione indegna e gravissima». Poi il contraccolpo personale: «Ho ricevuto minacce di morte. È legittimo che il sindaco Bandecchi rilanci messaggi di odio contro di me? Chiedo alla presidente di abbassare i toni per fermare l’escalation».

Dal Partito democratico arriva la condanna di Elly Schlein: «È irresponsabile aumentare e fomentare questo clima incandescente, quando tutte le forze politiche avrebbero dovuto condannare insieme quella violenza politica. Noi lo abbiamo fatto subito, mentre altri hanno cominciato a sparare nel mucchio, un atteggiamento gravemente irresponsabile», dice la segretaria dem. «Quando la notte mi arriva un messaggio con un saluto fascista e il saluto a noi io non penso a Meloni. La violenza non è accettabile da qualsiasi parte provenga e chiunque vada a colpire».

Sono d’accordo, sempre dalle file Pd, Francesco Boccia, Chiara Braga e Nicola Zingaretti: «Meloni oggi straparla. Accusarci di chissà quali nefandezze serve solo alla destra per coprire il nulla cosmico dell’azione di questo governo».

Intanto dal Viminale arriva una circolare firmata da Piantedosi che invita prefetti e questori a «verificare i dispositivi di sicurezza» e, se necessario, «innalzarli al massimo livello». La misura riguarda premier, vicepremier e massime cariche istituzionali. Tre auto blindate, dieci uomini di scorta, trenta agenti impegnati 24 ore al giorno.

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