Dopo il sì del Movimento 5 stelle al quesito su Rousseau e l’annuncio di Mario Draghi, nasceranno l’esecutivo e il ministero della Transizione ecologica. Anche se per la sua reale istituzione potrebbe essere necessario un decreto legge. Fino ad allora andrà avanti il cantiere per definirne le competenze. Vedere “transizione ecologica” nei twitter trend mentre si aspettava l’esito del voto dei pentastellati è stato un successo inaspettato dell’annuncio di Draghi: «Il ministero ci sarà e lo ha chiamato proprio così», racconta a Domani Stefano Ciafani, presidente di Legambiente che mercoledì sera è stato alle consultazioni.

Qualcosa di nuovo

Eppure non è una grande novità, in Francia esiste già, ma soprattutto, come ha ricordato Domani, se ne è parlato anche in Parlamento. Salvo poi finire tutto nel nulla, visto che lo stesso Movimento 5 stelle ha deciso di fare un passo indietro. L’entusiasmo, di fronte all’esplicita richiesta richiesta di Beppe Grillo in cambio dell’appoggio al nuovo governo, sta proprio nel fatto che nel giro di 24 ore è diventato una possibilità concreta che finora in Italia non si era mai vista. «Ieri – racconta ancora il presidente di Legambiente – abbiamo parlato con una persona che non è un ambientalista, ma è perfettamente consapevole dell’importanza che riveste. Speriamo che sia un grande cambiamento, non solo rispetto al governo precedente, ma rispetto a tutti gli i governi passati».

Di cosa si occuperà?

Il nuovo ministero si occuperà di materie ambientali ma per avere sostanza dovrà per forza di cose occuparsi di altro. Quali siano le competenze, non è riuscito a dirlo bene neanche Grillo, che, nel lanciare la proposta ha dato contemporaneamente la visione di un incrocio tra ministeri e di una struttura con delle figure che si occupano di investimenti: «Un posto dove il ministero della Finanza, dell’Economia sostenibile, insieme al ministero dell’Ambiente e quello dell’Energia convergono in un settore dove ci saranno due o tre persone scelte, una da noi, due da lui, di grande, di grosso spessore che filtreranno tutti gli investimenti futuri di questo paese». Partendo dal modello francese, ma anche stando a quello che dice Grillo, dovrà avere competenza sull’energia, un potere che coinvolge anche le grandi aziende partecipate di stato, come Eni, Enel e Terna.

Ricorda Ciafani: «Non credo che ci sia ancora un modello, di certo serve integrare le politiche e le strutture, per evitare che ad esempio le autorizzazioni per gli impianti per la produzione di energia rinnovabile siano divisi tra ministero dello Sviluppo e dell’Ambiente». Se ci sarà una fusione totale o sarà un dicastero che prenda, partendo dal ministero dell’Ambiente, altre competenze, comunque «bisogna avere in testa l’idea come integrare le infrastrutture, da decenni il ministero dell’Ambiente non si parla con i ministero dello Sviluppo». A quel punto, come accaduto per spacchettare il ministero dell’istruzione e dell’università, oppure per spostare le competenze sul turismo dal ministero per i beni culturali a quello per le politiche agricole e viceversa, spiega Ciafani, «servirà un decreto legge». Dipenderà anche se sarà o no un ministero con il portafoglio.

La battaglia per stabilire la sua forza, a cui non c’è stato tempo per pensare, comincia adesso. I settori potenzialmente investiti «dovrebbero essere anche l’agricoltura e le infrastrutture» prosegue l’esponente di Legambiente. Loro sperano da anni che il Mit attraverso il codice degli appalti e il dibattito pubblico, influenzi in maniera verde tutti le procedure che riguardano le grandi opere.

Chi sarà ministro?

Draghi vuole fare «un governo europeista, atlantista e ambientalista» scandisce Ciafani. Perché il ministero della transizione ecologica sia efficace, gli ambientalisti hanno proposto un identikit chiaro: «Una figura autorevole, competente che non abbia bisogno di tempo per imparare, perché non c’è tempo. Ad aprile bisogna mandare il piano nazionale di ripresa e resilienza e l’anno prossimo bisogna aprire i cantieri». Nel classico toto ministri che accompagna la formazione dei nuovi governi, non a caso si fanno già i nomi di Enrico Giovannini, il portavoce dell’Asvis ed ex ministro del governo tecnico di Mario Monti, e Catia Bastioli, ad di Novamont.

Se da una parte l’entourage di Draghi smentisce che il premier incaricato si sia già occupato di scegliere i futuri ministri, i nomi di Giovannini e Bastioli hanno dalla loro quello standing tecnico ben inserito nella politica che farebbe propendere per uno di loro. Giovannini, portavoce dell’Asvis ed economista, porta avanti gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, chiede da anni la riconversione dei 19 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi – entrambi due punti chiave dei post di Grillo degli ultimi giorni  e fine ovvio del ministero – e da ultimo ha un ottimo rapporto sia con il Movimento 5 stelle che con il Pd. Non manca l’approvazione di Sergio Mattarella, che nel 2019 ha partecipato personalmente alla presentazione del Rapporto annuale dell’Asvis.

Catia Bastioli porta con sè il suo curriculum nell’industria delle bioplastiche, un passato da presidente di Terna, il gestore della rete elettrica, nominata da Matteo Renzi e l’attivismo sul fronte ambientale. Particolarmente battagliera contro il consumo di suolo, è, non solo presidente del Kyoto Club, ma anche promotrice del manifesto di Assisi «per un’economia misura d’uomo contro la crisi climatica».

Non solo il ministro

Draghi, riferiscono fonti politiche, ha detto ai partiti che si orienterà su un esecutivo tecnico con l’ausilio di politici (non ci sono disponibili solo i posti da ministro, ma anche quelli da sottosegretario) che comunque abbiano un curriculum che li renda delle figure esperte nei loro campi. Se il Movimento, con il suo alto numero di parlamentari e il curriculum ambientalista, si lancia nell’agone con un certo vantaggio, anche Pd e LeU vogliono cominciare a trovare il loro spazio nel tema che sentono proprio. Rossella Muroni, deputata di LeU, già presidente di Legambiente, si è fatta sentire ricordando che gli ambientalisti portano avanti questa battaglia da tempo, ma anche il Pd non è da meno. Il sottosegretario del ministero dell’ambiente Roberto Morassut si dice soddisfatto della mossa di Draghi e dice a Domani: «Il dicastero attuerebbe un indirizzo già proposto due anni fa ma non realizzato in parlamento e sarebbe coerente con un’altra innovazione ordinamentale attuata da questo governo, la trasformazione del Cipe in Cipess (Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile)», proposta di Giovannini divenuta legge grazie a un emendamento Pd. Si aspetta adesso che facciano le loro mosse anche gli altri partiti della maggioranza che nasce.

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