Niente più nomi, niente più croci. A meno che non siano richiesti. E saranno le donne che interrompono la gravidanza a scegliere che cosa fare del feto. Grazie all’azione popolare intrapresa da Francesca Tolino, Simone Sapienza e dall’avvocato Francesco Mingiardi, un anno dopo la scoperta che al cimitero Flaminio di Roma venivano seppelliti – sotto croci con nomi e cognomi delle donne che li avevano abortiti – anche i feti di chi non aveva mai dato il consenso alla sepoltura, non soltanto Roma capitale ha modificato il regolamento di polizia cimiteriale. Ma anche l’azienda ospedaliera San Giovanni e l’Asl Roma 1 hanno cambiato i loro regolamenti interni con l’obiettivo di tutelare la privacy e la libertà di scelta delle donne su cosa fare dei prodotti abortivi e dei prodotti del concepimento, dopo l’interruzione di gravidanza.

Come raccontato anche da Domani nel podcast 20 settimane, sono passati cinque anni da quando, a settembre del 2020, la vicenda del “cimitero dei feti” di Roma ha scosso l’opinione pubblica nazionale grazie alla denuncia di due donne, Marta Loi e Francesca Tolino, che hanno scoperto i lori nomi sulle croci nel riquadro 108 del Flaminio.

Come loro decine di altre donne hanno visto violato il diritto alla riservatezza, che dovrebbe essere tutelato dalla legge 194 sull’interruzione di gravidanza, e trovato i feti abortiti sepolti senza consenso, a Roma e in altre città del Paese.

Per tutelarle e per garantire che non succeda, ad altre, di nuovo, Tolino, Sapienza e Mingiardi a settembre del 2021 avevano deciso di intraprendere l’azione popolare nei confronti dell’ospedale San Giovanni, Asl e Ama, la società che gestisce rifiuti urbani e servizi cimiteriali nella capitale. «Un’azione giudiziaria a tutti gli effetti con cui i cittadini vestono la fascia della sindaca (allora Virginia Raggi, ndr) per tutelare gli interessi della comunità, perché questo trattamento lede i diritti di Roma capitale e di tutta la cittadinanza», aveva spiegato l’avvocato il giorno della prima udienza. Col passare del tempo, la tenacia dei cittadini ha portato ai risultati sperati, sebbene il comune abbia deciso di non prendere parte all’azione.

I risultati

Prima, a novembre del 2022, l’Assemblea capitolina ha modificato il regolamento di polizia cimiteriale che risaliva al 1979, sia per tutelare l’anonimato della donna prevedendo che sul cippo funerario, non più la croce, sia riportato un codice alfanumerico associato al numero di protocollo della richiesta, non il nome di chi ha interrotto la gravidanza. Sia disponendo che la donna o gli eventuali aventi diritto possano scegliere anche alternative all’inumazione dei prodotti del concepimento, dei prodotti abortivi e dei feti.

Poi, ad aprile del 2023, il Garante della privacy ha deciso di comminare 176mila euro di sanzione a Roma capitale, 239mila ad Ama e di ammonire anche la Asl Roma 1 che aveva trasmesso la documentazione, per aver diffuso ed esposto i dati delle donne.

«Oggi sono cambiati anche i protocolli interni del servizio sanitario: quello del San Giovanni che ha chiarito che è la donna a scegliere riguardo il proprio feto. E quello della Asl che ha modificato il suo modo di operare nel rispetto sia delle privacy delle donne, sia del loro diritto di essere adeguatamente informate quando interrompono la gravidanza. Quindi, adesso il rischio che una donna possa scoprire un feto sepolto a suo nome non c’è più», ha detto Mingiardi all’uscita del tribunale di Roma, soddisfatto di quanto venuto fuori dall’udienza a cui hanno partecipato anche gli avvocati Massimo Cesareo per Ama, Federica Melucco per Asl Roma 1 e Gennaro Maria Amoruso per l’azienda ospedaliera San Giovanni, che hanno preferito non commentare.

Agire per il futuro

«Stiamo faticosamente arrivando a costatare che la materia del contendere è cessata», ha detto ancora Mingiardi che fa parte dell’Associazione Fondamenta, che si è costituita proprio per tutelare i diritti dei cittadini, contrastando politiche pubbliche e prassi amministrative che li ledono: «Tutti gli atti sono perfettibili ma la situazione è molto cambiata rispetto al 2021, quando abbiamo iniziato. Grazie all’azione popolare e alla buona disposizione degli enti, siamo arrivati a un punto di convergenza, per questo un accordo ora tra di noi c’è. Ma bisogna scriverlo».

Come ha chiarito Mingiardi se il 30 giugno, quando il giudice Francesco Crisafulli ha fissato il prossimo incontro, verrà firmato l’atto che certifica la cessazione del contendere, allora l’azione popolare potrà dirsi conclusa e l’interesse dei cittadini tutelato: «È però fondamentale ricordare che i diritti di molte donne sono comunque stati violati. Noi abbiamo agito per il futuro».

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