Esiste una tendenza, in parlamento: far passare i disegni di legge alla Camera, così che il Senato diventi un luogo quasi esclusivamente di ratifica e senza possibilità di cambiamento dei testi. E’ così per ragioni numeriche e vale oggi per la maggioranza spuria del governo Draghi ma è stato così anche prima, negli esecutivi dai numeri risicati come il Conte II: quella di Montecitorio è l’aula più controllabile. Quindi il lavoro di commissione corre più agevole, il testo viene modificato e votato. Poi, una volta arrivato a palazzo Madama, il Senato non può fare altro che licenziarlo così com’è: soprattutto in tempo di Pnrr, infatti, modificarlo significherebbe rispedirlo alla Camera e quindi allungare i tempi in modo inaccettabile.

Questo è vero soprattutto per la commissione Giustizia al Senato: una commissione particolarmente problematica, con una maggioranza “mobile” che spesso oscilla per un solo voto e un presidente – il leghista Andrea Ostellari – confermato con quello che da Pd e Movimento 5 Stelle è stato definito «un colpo di stato».

Per questo, il lavoro in commissione è lento e soprattutto è molto scarso. Pur essendo la giustizia un capitolo nevralgico delle riforme, tra quelle di prima importanza in Senato è stato incardinato solo il ddl di riforma del civile: tra tutti il meno politicamente impegnativo.

Un decretificio

Del resto, il Senato «è un decretificio. La camera dove si lavora di meno e si approvano principalmente i decreti del governo, con poco spazio per i disegni di legge di iniziativa parlamentare», spiega un senatore della commissione Giustizia, dove questa prassi vale ancora di più, rispetto alle altre commissioni.

La commissione, infatti, è considerata un congelatore di disegni di legge: quello che qui arriva tende ad andare a rilento, con un ostruzionismo che nei casi di bassa conflittualità è silenzioso, in altri – come è stato il caso del ddl Zan – diventa lampante.

La ragione di questa anomalia è legata alle vicende politiche della commissione nel corso di questa legislatura, rispetto al susseguirsi dei tre governi. Nel governo Conte 1 a maggioranza Movimento 5 Stelle e Lega, la commissione Giustizia al Senato era stata affidata al leghista Andrea Ostellari. Allo scadere dei due anni e con il cambio di governo con nuova maggioranza M5S e Pd, doveva cambiare anche la presidenza. La nuova alleanza aveva previsto di nominare presidente Piero Grasso di Leu, ma è rimasta tradita dal voto segreto e al vertice della commissione è rimasto ancora Ostellari. Il problema politico nel corso del Conte 2 però, almeno sulla carta, doveva essere superato grazie alla presenza della Lega nella maggioranza del governo Draghi. Invece, come era del resto immaginabile, le distanze tra le forze politiche sono rimaste inalterate e la presidenza leghista ha pesato nel rendere la commissione un luogo di ostruzionismo e trappole. Esattamente quello che è successo con il ddl Zan, quando Ostellari ha utilizzato tutte le sue prerogative di presidente per dilatare i lavori, tra rinvii, slittamenti e audizioni. 

Le tecniche

Del resto, il presidente della commissione ha il potere di scegliere a cosa dare precedenza nei lavori e questo permette di accelerarli o rallentarli fino quasi a fermare alcuni provvedimenti. Un caso di scuola è quello del senatore del Pdl ed ex ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, presidente della commissione nel 2013. Per diversi mesi all’ordine del giorno dei lavori della sua commissione veniva riportato un lungo elenco di provvedimenti, senza indicare una vera e propria priorità. Col risultato che i membri erano costretti a girare per i corridoi portandosi dietro diversi fascicoli così da essere pronti a trattare qualsiasi provvedimento venisse annunciato all’inizio della seduta.

Ostellari utilizza una tecnica non troppo diversa. Definito «persona gentile e dai modi civili» anche dai suoi avversari politici, sta però nel governo Draghi «come ci stanno i leghisti: su molte questioni la sua linea si discosta da quella decisa in maggioranza».

In concreto, la commissione viene convocata normalmente, ma con ordini del giorno lunghissimi e in cui i provvedimenti si intersecano. In questo modo non si svolgono i lavori in modo organico, senza che sia possibile intuire la fine dell’esame dei singoli ddl.

Una strategia che si riverbera nei numeri, con appena 11 ddl di natura parlamentare approvati dall’inizio della legislatura e 6 conversioni di decreto legge.

La strategia rischia di inasprirsi nei prossimi mesi come è stato per il ddl Zan: a breve arriveranno dalla Camera l’ergastolo ostativo e il suicidio assistito, di cui è appena stata chiesta la calendarizzazione. Poi, sarà il momento anche della riforma dell’ordinamento giudiziario. Tutte questioni su cui la maggioranza di governo è spaccata e su cui la commissione Giustizia al Senato potrebbe premere il freno.

 

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