«Si può scioperare anche contro super Mario Draghi». Sono le parole della Cgil poche ore prima che, in una conferenza stampa congiunta, il leader del sindacato, Maurizio Landini, e il suo omologo della Uil, Pierpaolo Bombardieri, spiegassero i motivi dello sciopero generale proclamato dalle due sigle per il 16 dicembre.

Dopotutto l’obiettivo della protesta è proprio il premier. «I sindacati e una parte del Pd non vogliono Mario Draghi né al Quirinale né a palazzo Chigi» dice Marco Bentivogli, l’ex segretario Fim-Cisl e la mobilitazione si inserisce in questo disegno.

La versione di Landini è «che lo sciopero generale dimostra un’autonomia. Noi giudichiamo i governi per quello che stanno facendo, e valutiamo anche quello che succede in una maggioranza così eterogenea». Fatto sta che la Cisl non sarà in piazza il 16 dicembre. Evidentemente non tutto il mondo sindacale la pensa allo stesso modo.

I segretari uniti

Landini e Bombardieri hanno deciso di spiegare personalmente una mossa che era nell’aria da diverso tempo. Nel comunicato che ne dava l’annuncio, diffuso lunedì, hanno elencato i vari punti su cui, secondo Cgil e Uil, il governo non sta lavorando bene. Al primo posto la riforma fiscale, ma anche pensioni, scuola, politiche industriali, contrasto alle delocalizzazioni, contrasto alla precarietà e non autosufficienza.

A cosa stanno puntando? «Questo sciopero – dice Bentivogli – è una risposta automatica, pavloviana, che ha a che fare con la necessità di rispondere a equilibri politici. Giuseppe Conte e un pezzo di sinistra del Pd non hanno il coraggio di contestare apertamente il governo Draghi e stanno utilizzando la Cgil. E, mi dispiace, anche con il consenso della Uil». Gli scioperi calderone, obietta, non servono a niente.

Bombardieri in apertura della conferenza ha ricordato che «lo sciopero generale è un diritto della Costituzione». Sono stati esclusi dalla protesta il settore della sanità pubblica e privata, comprese le Rsa, per salvaguardare il diritto prioritario alla salute dei cittadini in questa fase di emergenza pandemica. Per il segretario della Uil si tratta di trovare «rispetto del lavoro e della vita».

Per Landini «serve giustizia sul fisco». L’85 per cento di pensionati e lavoratori ha un reddito sotto i 25mila euro e la maggior parte delle risorse, con l’attuale modulazione Irpef, verrebbe destinata ai redditi più alti. Inoltre adesso «serve fare assunzioni». L’altra critica, ha detto il segretario della Cgil, è proprio questa: «L’80 per cento delle assunzioni del 2021 sono state precarie».

Entrambi non hanno chiuso comunque la porta al dialogo. «Noi abbiamo apprezzato le risposte di Draghi, ma sui temi che abbiamo sollevato riteniamo che non siano state sufficienti» ha detto il segretario della Uil. Ancora più significative le parole di Landini: «Per noi il dialogo non si può considerare interrotto, siamo disponibili a riprendere il confronto in qualunque momento». Sia prima, sia eventualmente dopo lo sciopero. «Il governo deve capire che è il momento di avviare con i sindacati un confronto vero prima di prendere le decisioni».

Da Renzi a Draghi

I primi segni di rottura con il presidente del Consiglio erano arrivati già a fine ottobre quando Draghi, durante i tavoli di lavoro sugli ammortizzatori sociali, aveva deciso di alzarsi e andarsene.

Poi l’incontro con il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e infine ancora un tentativo di chiarimento con il premier. «Dal governo non abbiamo ottenuto le risposte che ci aspettavamo» il commento di Landini all’uscita da palazzo Chigi.

Ma è un altro il punto che il leader della Cgil ha citato come grave. Il fatto che lo scorso 4 dicembre sia saltato il contributo di solidarietà proposto da Draghi: ovvero l’annullamento degli effetti del taglio dell’Irpef per i redditi sopra i 75mila euro per finanziare il taglio delle bollette. Italia viva, Forza Italia e Lega hanno detto no. A quel punto i sindacati hanno deciso. La Cisl, guidata da Luigi Sbarra si è sfilata: «Anche se pure loro avevano aderito alla piattaforma dei sindacati», dicono dalla Cgil.

La nuova mobilitazione arriva sette anni dopo l’ultimo sciopero generale proclamato dalle stesse due sigle il 12 dicembre del 2014 contro il Jobs act firmato Matteo Renzi. Anche in quel caso durante i lavori sulla legge di Bilancio. Allora i segretari generali erano Susanna Camusso alla guida della Cgil e Carmelo Barbagallo, appena eletto, alla guida della Uil.

Anche allora la Cisl non ne aveva voluto sapere. «Ci fu lo sciopero, e alla fine approvarono comunque la nuova legge» commenta Bentivogli. Lo sciopero «è un esercizio di solidarietà per costruire condizioni migliori, questa cosa serve a un pezzo della politica a cui si presta Landini e a cui va dietro la Cgil».

Mentre si consuma la rottura con l’esecutivo, il tavolo sullo smart working al ministero del Lavoro è andato benissimo. E il ministro Andrea Orlando ha persino pubblicato un video su Facebook: «Abbiamo voluto raggiungere un accordo con tutte le parti sociali». Un messaggio che va oltre il lavoro agile.

Cosa accadrà si vedrà nelle prossime settimane. Resta il fatto che nessuno dei due segretari ufficialmente sul piede di guerra ha realmente intenzione di sottrarsi a una possibile conciliazione. L’agenda parlamentare dice che le tempistiche sono ben calcolate e tutto dipende da cosa farà palazzo Chigi.

La discussione in commissione Bilancio è previsto che si chiuda addirittura per il 17 dicembre o dopo – ieri circolava la voce di un weekend lavorativo il 18 e 19 dicembre. Solo in seguito ci sarà l’approdo in Aula dove si attenderà il maxi emendamento della maggioranza e la questione di fiducia che blinderà la legge di Bilancio. La seconda lettura alla Camera sarà, come al solito, un passaggio di rito.

Quando si chiuderà la manovra, si aprirà la partita del Quirinale, e i sindacati, qualunque sia il loro fine, stanno già partecipando. «La lotta e la trattativa – ha detto Landini – non sono due cose separate».

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