C’è grande attesa per conoscere l’esito dei tormenti interni al Movimento Cinque stelle. Beppe Grillo accetterà di cedere la sua sovranità assoluta a Giuseppe Conte? Oppure l’ex premier proverà a trasformare in voti il consenso di cui ancora gode nei sondaggi in un nuovo progetto politico, fuori dal perimetro del Movimento? Tralasciamo per un attimo le considerazioni di merito sul senso di trasformare una forza populista e orizzontale in un partito privo di programma politico se non una vaga promessa di buon governo.

Beppe Grillo rivendica un potere assoluto e umorale, che si declina in scelte fulminee non vincolate da alcun dibattito interno. Del progetto di Conte sappiamo poco, se non che vedrebbe un ruolo ridotto del “garante” Grillo e il potere sarebbe dell’ex premier come capo politico (posizione contendibile? O da partito personale stile Italia viva?).

Vedremo quanto sangue si spargerà nel duello, con la consapevolezza che è sangue non necessario. Perché nell’ultimo anno c’è una figura che ha lavorato con discrezione per farsi trovare pronta esattamente per questo scenario, cioè Luigi Di Maio. I detrattori lo considerano ancora il “bibitaro” dello stadio San Paolo, ma Di Maio ha costruito una immagine parallela e rassicurante del Movimento, che piace ad ambasciatori, manager di stato, categorie. Un Movimento non certo di sinistra, pronto ad allearsi ancora con la Lega nelle sue componenti più pragmatiche (non i residui sovranisti e salviniani), ormai saldamente atlantico e poco filo-cinese, a differenza di Grillo.

Di Maio ha messo le basi, insomma, per un Movimento Cinque stelle alternativo a quello “giallorosso” che piace a due demiurghi in affanno, Giuseppe Conte e Goffredo Bettini, e al quale si era dovuto rassegnare un mai convinto Enrico Letta.

Non c’è nei Cinque stelle una leadership alternativa a quella di Di Maio, non è mai emersa nella lunghissima reggenza di Vito Crimi, non è germogliata dalle scissioni dei radicali anti-Draghi, e non sta funzionano il tentativo di preservare post-mortem le dinamiche del governo Conte-2.

In tanti hanno scambiato l’aumento dei like sulla pagina Facebook dell’avvocato del popolo per una certificazione di talento politico, ma la bolla Conte è destinata a sgonfiarsi più in fretta di quella dei Cinque stelle, sorprendentemente stabili nei sondaggi intorno al 15-16 per cento.

Se i Cinque stelle vogliono capitalizzare quel che resta della loro esperienza politica, il modello Di Maio si delinea come l’unico rimasto: un partito spregiudicato, senza identità definite, capace di passare dalla richiesta di impeachment per il capo dello Stato a difensore delle istituzioni, da rivale delle lobby a loro strumento prediletto, contemporaneamente anti-evasione e propenso a piccoli condoni, fustigatore dei malcostumi e sempre attivo nel piazzare amici, famigli, portaborse là dove c’è uno stipendio pubblico sicuro. Cosa c’è, in fondo, di più rappresentativo della medietà italiana di questo approccio?

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