Il nuovo Dpcm, la nuova stretta, arriverà lunedì. Il quarto in poco più di due settimane. Ne servirà un quinto per dichiarare il lockdown generale, che si annuncia meno rigido di quello della primavera e verrà deciso in settimana, entro l’8 novembre. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, era contrario a precipitare i tempi ma ora si arrende all’evidenza del contagio (a sabato oltre 31mila i nuovi casi, 1.843 le persone in terapia intensiva). E spera che gli italiani, al posto suo, facciano un miracolo: che il nuovo provvedimento possa essere necessario solo per un mese.

E così si avveri la promessa di «Natale sereno» fatta una settimana fa, al terzo Dpcm. Conte potrebbe anticipare la sua comunicazione alla Camera già a lunedì. A Montecitorio doveva andarci mercoledì, ma quando la data è stata decisa era chiaro che era troppo lontana. Bastava ascoltare le parole del commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri, che già venerdì aveva parlato di crescita del virus «impetuosa».

A sabato mattina il premier è ancora contrario a un provvedimento immediato. E partecipando al «festival dell’ottimismo» – non è una battuta – del quotidiano il Foglio non si fa sfuggire l’occasione di un’altra promessa ardita, stavolta quella di «venire a capo di questa situazione in primavera inoltrata». Ma nello stesso festival il ministro Luigi Di Maio annuncia «una nuova stretta».

Conte convoca la prima riunione online all’ora di pranzo. Ci sono il ministro della Salute, Roberto Speranza, il ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia e i capidelegazione della maggioranza. A loro il capo dell’Iss, Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, e il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo spiegano i dati dell’ultimo dei venerdì neri di queste settimane e come deve essere interpretata la curva epidemiologica.

Buona parte del paese è nel famigerato scenario 4, il più drammatico delineato nell’ormai noto documento dell’Iss: circolazione incontrollata del virus, valori di Rt sopra 1,5 (è così in 11 regioni) e impossibilità di tracciare i nuovi contagi. Il collasso degli ospedali, in queste condizioni, viene valutato in un mese, al massimo un mese e mezzo. Arcuri riferisce che in alcuni territori ormai non vengono accettati ricoveri se non «in casi di urgenza non più rinviabili».

Alla fine di questa prima riunione restano collegati con Conte i ministri e i capigruppo di maggioranza. Alle 18 viene convocato il Comitato tecnico scientifico, a cui Speranza chiede la situazione territorio per territorio. Il confronto riprende domenica mattina con le regioni e gli enti locali. Tutti divisi. Chi, come il presidente della Campania De Luca chiede «una scelta nazionale», chi resiste. Alle tre e mezza i capidelegazione della maggioranza e alle cinque riunione anche con i capigruppo dell’opposizione, come domenica scorsa.

Sabato da più parti è arrivata l’ipotesi di una riunione della «cabina di regia» anche con i leader delle destre, sotto la guida di Speranza. Ma un comunicato congiunto dei tre leader, Salvini, Meloni e Berlusconi, gela la maggioranza: «Il ravvedimento appare tardivo. Il centrodestra è sempre stato a disposizione dell’Italia, ma domenica più che mai l’unica sede nella quale discutere è il parlamento».

Questione di ore

La nuova stretta è questione di ore. In base ai provvedimenti dello «scenario 4» il governo definisce le misure una scelta obbligata, quasi automatica: chiusi bar e ristoranti, limitata la mobilità nelle aree geografiche sub-regionali (comuni e province) ma anche fra regione e regione, chiuse le scuole e le università. Ma già sabato sono iniziati conflitti.

La chiusura della mobilità interna alle regioni potrebbe essere decisa già dai presidenti, che però da tempo chiedono un provvedimento nazionale per non intestarsi le responsabilità e la rabbia dei cittadini. E poi ci sono le scuole. Il presidente del Consiglio è contrario alla loro chiusura, con lui la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, che ha passato un autunno a ripetere che «le scuole non si chiudono» e l’ultimo mese ad attaccare i presidenti di regione che hanno deciso diversamente.

Al momento l’ipotesi più probabile è quella del cento per cento della didattica a distanza dalla terza media in su. Il Pd è per tenere le scuole «aperte fino a che è possibile» ma chiede una stretta vera, non la serie di Dpcm «in allegato ogni settimana con Amica e Giardinaggio oggi», come dice in riunione un ministro dem.

È possibile che il decreto, che dovrebbe essere chiuso nella sostanza domenica sera, per la prima volta sia varato dopo il voto delle misure da parte del parlamento. E cioè dopo il confronto con quelle opposizioni cui ormai il premier deve appellarsi.

Sabato, buon ultimo, è arrivato il sì dei Cinque stelle: «Coinvolgere le opposizioni in parlamento è il primo passo, la cabina di regia è solo un passaggio naturale in questo momento», ha ammesso Di Maio. Il lockdown, anche nella versione leggera, è in arrivo. Il premier resiste, ma potrebbe giustificare il cedimento con le scelte di alcuni colleghi europei più coraggiosi di lui. Belgio e Francia hanno già dichiarato il lockdown, e da sabato anche la Gran Bretagna.

© Riproduzione riservata