Chiusa una quasi crisi di governo se ne apre un’altra, e stavolta è una quasi crisi della coalizione giallorossa che ineluttabilmente si abbatte anche sulla maggioranza. Protagonista sempre Giuseppe Conte.

Dopo aver chiuso il caso delle spese militari, sventolando la vittoria di un movimento che avrebbe piegato Mario Draghi, attacca subito gli alleati dem in una diretta su Instagram, prima di salire al Colle da Sergio Mattarella: «L’alleanza con il Pd va avanti da tempo, abbiamo lavorato insieme e sperimentato un pacchetto importante di riforme, ma pretendo rispetto. Non posso accettare accuse di irresponsabilità perché non funziona così: non siamo la succursale di un’altra forza politica». Si riferisce all’accusa, più o meno esplicita, di mettere a rischio il governo: letture «mainstream» contro il M5s, è la sentenza sprezzante.

Un atteggiamento che spiazza tutti, dentro e fuori il suo partito. «Ha perso la testa, cerca un pretesto per andare all’opposizione», dice un deputato dell’area del ministro Luigi Di Maio.

«Ha l’acqua alla gola, anche per la questione dei russi, e vuol sfasciare tutto», aggiunge un dirigente Pd. La «questione dei russi» è la storia della missione di Mosca in Italia ai tempi della pandemia, su cui il Copasir – che lo ha già sentito – ha ancora un’istruttoria in corso.

L’ironia di Draghi

La quasi-crisi delle spese militari sembrava chiusa. A mezzogiorno, di fronte alla stampa estera Mario Draghi si butta alle spalle l’insorgenza del presidente grillino recitando ai cronisti di mezzo mondo un racconto ironico dell’incontro con il suo predecessore, lunedì scorso: «Ci siamo visti con il presidente Conte il quale chiedeva un allungamento dell’obiettivo al 2030. Io ho detto “No, si fa quel che il ministro Guerini ha proposto e deciso”, e cioè il 2028. Successivamente è uscito un comunicato che diceva che quella era propria la richiesta di chi non voleva l’aumento delle spese militari, quindi non c’è disaccordo...».

Il premier si prende l’ultima soddisfazione dopo aver fatto ballare per tre giorni la principale forza della sua maggioranza per l’accusa sostanziale di voler far saltare il governo.

A Conte concede che «nel Def non è prevista indicazione di spese militari o altre spese», come chiedeva, ma perché «il Def è un documento complessivo», «l’impegno dell’Italia a spendere il 2 per cento per investimenti nella difesa è stato preso nel 2014 ed è stato ribadito da tutti i governi, ogni anno, dal 2018 al 2021 le spese sono aumentate tra il 17 e il 26 per cento» e cioè di parecchio, e soprattutto anche sotto i due governi Conte, e «l’impegno è semplicemente confermare quanto fatto precedentemente, e confermare i nostri impegni con la Nato, assolutamente».

Dal lato Cinque stelle il racconto è tutto l’opposto, si parla di vittoria: «Grazie» al M5s c’è «convergenza sulle nostre posizioni», quello di Draghi e del ministro Guerini, autore della mediazione, è «un dietrofront».

Ieri, al Senato, la fiducia al decreto Ucraina è passata con 214 voti favorevoli e 35 contrari.

E la vicenda dell’ordine del giorno sull’aumento delle spese militari, accolta dal governo in commissione, diventa una variabile dipendente dal partito a cui appartiene chi parla: per i Cinque stelle la mozione è svanita, dissolta nell’aria, per le opposizioni è acquisita e approvata, per il Pd è prudentemente dimenticata.

L’attacco al Pd

Nella diretta social Conte riparte all’attacco. «L’obiettivo del 2024 due terzi dei paesi Nato non rispettano questo termine, perché dovremmo farlo noi? Dire che non possiamo concentrare ingenti risorse nelle spese militari è una misura di buonsenso».

Poi sale al Colle, un’ora di colloquio concordato il giorno prima. Nel movimento nessuno ne sapeva nulla. Alla fine il Quirinale fa sapere che si è trattato «di un colloquio informativo come avvengono usualmente tra il presidente della Repubblica e i partiti politici», e che fra i due c’era «un clima disteso e costruttivo». Ma poi è Conte a rincarare all’indirizzo della maggioranza e degli alleati.

L’alleanza frana

Quella di Conte è ormai una partita che lo riguarda personalmente e va ben oltre il caso delle spese militari. I più moderati dicono che si vuole liberare dell’abbraccio del Pd. Fonti parlamentari vicine a Di Maio temono apertamente colpi di testa del presidente alla ricerca del casus belli. Gli uni e gli altri sono certi che siamo all’inizio di un crescendo. «Aspetta le amministrative, andranno male, e potrebbe essere l’alibi per dire che è meglio tornare a combattere da soli», viene spiegato.

Nulla può muoversi prima di settembre, quando i parlamentari maturano il diritto alla pensione, ma a quel punto soprattutto i senatori più fedeli a Conte, come Gianluca Castaldi e Vito Crimi, potrebbero considerarsi liberi dagli obblighi nei confronti di qualsiasi alleato.

Da oggi all’autunno ogni dossier, a partire dal Documento di economia e finanza, può rappresentare una miccia su cui Conte cercherà lo scontro con Draghi. Ma se si arrivasse alla rottura, l’esplosione del Movimento sarebbe certa.

Dal Pd ufficialmente «nessuna risposta». «Non cadiamo nelle provocazioni», continua a dire Letta ai suoi. Mercoledì sera il segretario Pd si è sentito con Conte, ma nulla faceva immaginare nuove intemperanze. L’alleanza scricchiola, e così la consegna del silenzio dem.

Parla l’ex presidente Matteo Orfini: «Abbiamo costruito noi, il ministro Guerini per primo, la soluzione al problema: Conte non venga a parlarci di mancanza di rispetto. Letta e Guerini hanno avuto fin troppa pazienza».

E il senatore Andrea Marcucci: «È chiaro che se il M5s continuerà a mettere in difficoltà o peggio a far cadere il governo Draghi, sarà molto difficile ipotizzare un’alleanza con il Pd». Persino dalla sinistra del Pd arriva qualche dubbio, se non ripensamento: «Serve un chiarimento, il tentativo di prenderci i voti mette in difficoltà tutto il Pd, e la sinistra innanzitutto».

C’è chi sospetta di una manovra di Conte in combutta con Matteo Salvini per andare al voto anticipato. Matteo Renzi se la ride: il dialogo con Conte «è un problema che riguarda Letta», quello dei Cinque stelle «è il canto di un cigno che diventa brutto anatroccolo».

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