«Facciamo gol in Europa!», urla in camera un eccitatissimo Giuseppe Conte, mentre abbraccia Carolina Morace. Il caso social del giorno è il video di lancio della campagna elettorale della capolista del Movimento 5 stelle alle europee nella circoscrizione Centro. Conte osa un paio di palleggi e passa il pallone all’ex giocatrice e allenatrice della nazionale azzurra femminile, che calcia verso una porta immaginaria. Il minivideo è l’ennesimo tentativo di rianimare una campagna che sembra non riuscire a spiccare il volo.

Eppure il presidente del M5s, insieme agli altri leader di partito che hanno dato forfait, è riuscito a cancellare i piani di Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Niente duello come lo aveva immaginato Bruno Vespa, mandato a sbattere dalla presidente della commissione Vigilanza Rai Barbara Floridia, che ha sollevato la questione di fronte all’Agcom con un esposto che ha costretto l’organismo a prendere posizione.

Chi conosce bene Conte tira in ballo anche tratti caratteriali che giustificherebbero l’obiettivo di impedire lo scontro a due tra le due leader. Che comunque poco avrebbe a che fare con il genere delle due contendenti, come suggerito dal Pd e da Bruno Vespa stesso. «Oggi si è svegliato femminista», ha detto la vicepresidente del gruppo M5s al Senato Alessandra Maiorino dopo che si era fatta larga l’indignazione per la cancellazione del primo duello tv tutto al femminile. «Questo piagnisteo falso-femminista non incanta nessuno. Tanto più se arriva da chi ha organizzato una puntata per parlare di aborto con sette uomini».

A prescindere dall’Agcom, non ci sarebbe comunque stata nessuna ragione oggettiva perché a sfidare Meloni fosse Conte e non Schlein: il Pd va meglio nei sondaggi e ha preso più voti a settembre 2022 (dunque ha più parlamentari), ma anche nelle ultime elezioni regionali e amministrative, a livello di lista, ha staccato il Movimento di parecchi punti. I dem, insomma, nonostante tutto sono ancora il primo partito d’opposizione.

Il rapporto con la Rai

Ma ora Conte ha negli occhi soltanto “l’altro” dibattito, quello che si è offerto di organizzare Enrico Mentana su La7: formula all’americana, due serate a cui parteciperebbero quattro contendenti ciascuna, prima le liste minori, poi quelle più grandi. Sono già un paio di giorni che l’ex premier lancia segnali in questo senso, invitando sui suoi profili social Meloni a confrontarsi in quella sede. Un voltafaccia curioso nei confronti di una Rai che non ha mai trattato male i Cinque stelle, anzi. Nel 2014 proprio Vespa aveva fatto di tutto per agevolare il più possibile lo storico rientro in Rai del fondatore Beppe Grillo.

C’era la campagna elettorale anche allora, e i grillini in piena fase ascensionale avevano presentato una lunga serie di richieste perché il comico si concedesse alla “terza camera”. Il Movimento chiedeva ad esempio di trasmettere la puntata in diretta sul blog di Grillo, di utilizzare gli spazi di tribuna per trasmettere il comizio di piazza San Giovanni che poi sarebbe diventato storico e perfino di ospitare un plastico, regalo personale del fondatore al giornalista: si trattava di una “prigione dei politici” da portare in studio durante la puntata. Insomma, un trattamento con i guanti di velluto, a cui l’ex direttore del Tg1 non aveva dato seguito soltanto per le polemiche che le richieste avevano suscitato.

Anche oggi i Cinque stelle si muovono con agio tra le stanze di viale Mazzini: offrendo una sponda in cda attraverso le ripetute astensioni del consigliere d’area Alessandro di Majo, il Movimento si è guadagnato una certa fiducia da parte dei dirigenti meloniani in Rai, e la disponibilità è stata ricambiata anche in termini di nomine. Per i Cinque stelle è stato inventato il terzo condirettore della Tgr e hanno ottenuto anche la direzione di Rai parlamento.

Oggi Conte può contare su un canale diretto con le figure più rilevanti del servizio pubblico. Sulla carta il partito combatte ancora per ribaltare la legge Renzi e cacciare la politica dalla Rai, ma nella pratica l’intervento, quando il Movimento era al governo, non è arrivato. E un atto a difesa del pluralismo è stato presentato soltanto di fronte a un duello che avrebbe escluso Conte, gradito ospite alla festa dei sessant’anni del direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci. Nonostante tutte le premure, Conte ha detto di no a un secondo duello con Matteo Salvini (che gli avrebbe probabilmente rinfacciato la sua firma sui decreti Sicurezza) e continua a rivolgersi direttamente alla premier chiedendole quando si incontreranno «da Mentana», ben sapendo che Meloni non può accettare scontri che non siano sul servizio pubblico.

Ma è solo l’ultima mossa di Conte per sabotare il Pd e sottrargli il ruolo di punto di riferimento dell’opposizione. Del campo largo ormai rimane poco e niente da settimane, dopo la seconda sconfitta di fila e il caso Bari le strade dei giallorossi si sono separate, e l’ex premier ha messo in fila una serie di manovre tese a mettere in difficoltà i democratici. Dalla sua ha un partito che, a differenza di quello di Schlein, è espressione diretta del leader. Nessuna corrente, nessuno che contesti le sue scelte.

La sfida che ha di fronte in questi giorni è quella di vedere eletti alle europee i “suoi” candidati, quelli che ha inserito nelle liste a scapito delle autocandidature. Bisogna spingerli, anche se europarlamentari uscenti e altri candidati validi dovessero subirne danno, è il messaggio. La pressione in questo senso sulle rappresentanze territoriali da parte dei più stretti collaboratori di Conte – di cui fanno parte anche nomi della vecchia guardia come Vito Crimi e Paola Taverna – si sta facendo sempre più forte, senza che nessuno sollevi dubbi sulla strategia.

L’ex premier ormai non deve neanche più fare i conti con le critiche del fondatore, che peraltro continua a essere pagato dal partito per i suoi servizi di consulenza. Grillo è impegnato a seguire la vicenda giudiziaria del figlio, ma su lui stesso pende la spada di Damocle di un eventuale rinvio a giudizio nel caso Moby. In quella vicenda, il comico rischierebbe di dover rispondere di traffico d’influenze. Un’accusa non troppo diversa da quella con cui deve fare i conti Giovanni Toti in queste settimane: forse per questo le battute sulla vicenda del presidente della Liguria nel nuovo spettacolo di Grillo non hanno la stessa verve dei tempi del V-Day. Come durante l’ultima serata a Torino: «Conosco cosa succedeva nel porto, mio padre aveva un’attività. E io ho lavorato al porto. E vedere questa gente che arriva da Rete 4 (Toti, ndr) e fa queste cose…».

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