La sezione famiglia della Corte d’appello civile di Milano ha accolto il ricorso portato avanti dalla procura milanese contro i decreti del Tribunale di Milano del giugno 2023 tramite i quali sono state ritenute valide le registrazioni allo stato civile degli atti di nascita di tre bambini in cui, oltre alla madre partoriente, veniva indicata come madre anche quella intenzionale. In seguito a tale sentenza, ai bambini viene riconosciuta solo la madre biologica.

Cosa è successo

Le impugnazioni della procura riguardano le registrazioni da parte del Comune di Milano degli atti di nascita di bambini nati in Italia tramite procreazione assistita praticata all’estero. Quello che viene chiesto è che il giudice cancelli la seconda madre, non partoriente, da questo documento e tutti quelli conseguenti.

Per sostenere l’illegittimità della registrazione della doppia maternità si è fatto leva su una giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale, in breve, viene sostenuto che nell’ordinamento giuridico italiano non è possibile indicare come genitori di un figlio due persone dello stesso sesso.

In primo grado il tribunale di Milano ha sostenuto che la procura avesse sbagliato tipo di procedimento, non ritenendo che i giudici potessero cancellare un genitore dagli atti di nascita. Dunque, rimaneva valido il riconoscimento della genitorialità della coppia omogenitoriale. Al contrario, la Corte d’appello ha ora deciso sia che l’azione è corretta dal punto di vista procedimentale, sia che, anche nel caso in cui non lo fosse stata, comunque per l’ordinamento italiano l’iscrizione della doppia maternità del bambino è illegittima. Di conseguenza gli atti di nascita vanno rettificati, in essi sarà indicata soltanto la madre partoriente.

Altri casi simili

Le registrazioni prese di mira dalla procura di Milano riguardano quelle avvenute dopo il 1° gennaio del 2023. Questo spartiacque temporale è stato individuato in seguito a una serie di sentenza della Corte di cassazione, di cui l’ultima a fine gennaio 2022, che hanno rappresentato un percorso giurisprudenziale avverso alle famiglie omogenitoriali.

In questo caso si evidenzia come non è stato considerato possibile intendere la giurisprudenza in senso retroattivo, al contrario di quello che hanno fatto altre procure come quella di Padova che, in seguito a quanto deciso dalla Cassazione, ha ritenuto legittimo impugnare anche gli atti di nascita precedenti a tale sentenza, arrivando a considerare bambini nati del 2017.

Possibile ricorso in Cassazione

L’avvocato Manuel Girola, aderente all’associazione Rete Lendford – avvocatura per i diritti Lgbti+, segue una delle coppie di madri coinvolte nel caso e fa sapere che stanno facendo le necessarie valutazioni per capire se impugnare la sentenza della Corte d’appello in Cassazione.

Infatti, seppur questa si sia già espressa in casi simili, la differenza fondamentale è che in quelli passati non si era ancora costituito un legame giuridico tra la madre intenzionale e il figlio, ma la questione verteva sul rifiuto da parte del Comune di registrare la doppia maternità. Ora invece, spiega l’avvocato «si tratta di recidere un legame genitoriale giuridico già creato, ciò comporta una lesione gravissima perché è come privare il bambino da un giorno all’altro di un genitore. Spezzare questo legame essenziale ha effetti ingiusti».

Cosa implica per i bambini

Non basta non riconoscere formalmente le famiglie omogenitoriali per farle scomparire, la conseguenza su cui è bene porre l’attenzione è che questi provvedimenti fanno sì che per dei bambini non venga riconosciuto il vincolo giuridico che lo lega a uno dei suoi genitori.

Tale legame è fondamentale in quanto implica diritti e doveri reciproci; in apparenza latente, smette di essere invisibile nei momenti di maggiore necessità, ad esempio se il bambino è ricoverato e si deve prendere una decisione, se ha bisogno di un rappresentante legale, se il genitore non riconosciuto dovesse morire. E in questo caso al figlio non verrebbe riconosciuto il diritto all’eredità. Dunque, secondo gli avvocati, la sentenza della Corte d’appello non considera adeguatamente un interesse fondamentale del bambino.

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