Se la crisi venisse confermata, la caduta del governo Draghi sarebbe la terza della legislatura. Questa come le precedenti sono state provocate dalle scelte di singoli attori politici – Matteo Salvini per il governo Conte I; Matteo Renzi per il Conte II e Giuseppe Conte per il governo Draghi – che hanno ritenuto di poter trarre dalla caduta dell’esecutivo un ritorno politico per il proprio partito. Se per Conte la sospensione del giudizio è d’obbligo visto che la crisi formalmente non è ancora aperta, i fatti si sono incaricati di smentire questo assunto per Salvini e Renzi.

La crisi del Conte I, aperta in piena estate come quella attuale, ha di fatto prodotto come effetto l’uscita della Lega dalla maggioranza e la nascita di un nuovo esecutivo di orientamento opposto. Dal punto di vista elettorale, poi, nessun giovamento ha ottenuto Salvini, che anzi ha visto la sua leadership progressivamente indebolirsi.

Il Conte 2

Pochi giorni prima della crisi di governo, la Lega veleggiava intorno al 36 per cento nei sondaggi e, forte anche di questo risultato e del picco alle elezioni Europee, Salvini riteneva che la crisi non potesse che provocare un ritorno alle urne. Proprio questo è stato il suo primo errore di valutazione: dal 2008 ad oggi, infatti, nessuna legislatura si è mai conclusa prima del quinto anno.

La crisi agostana provocata dalla Lega ha prodotto l’effetto opposto da quello sperato: Salvini ha dovuto incassare durissimi attacchi da parte del Movimento cinque stelle e del premier dimissionario, che hanno pesato contro di lui sul piano mediatico. Contestualmente, la fronda interna del Pd e Italia Viva spingono per la nascita del nuovo esecutivo sostenuto dal centrosinistra. Con la sua nascita, nel settembre 2020, la Lega passa dal 36 per cento al 32 e, dalla posizione all’opposizione, iniziano a maturare dentro il partito di via Bellerio anche le prime critiche all’operato del segretario.

Il Draghi 1

Sorti non troppo diverse sono toccate a Renzi, con la sua iniziativa di far cadere il Conte 2 per aprire le porte di Palazzo Chigi all’esecutivo guidato da Draghi. A differenza di Salvini, Renzi non ha aperto la crisi con l’obiettivo di andare alle urne, anzi: Italia Viva puntava proprio alla nascita di un nuovo governo tecnico di cui essere forza trainante e incassarne i dividendi elettorali al momento della fine naturale della legislatura.

Invece, il nuovo esecutivo guidato da un premier tecnico ha mostrato pochissima accondiscendenza alle richieste dei partiti maggiori e ancor meno rispetto a quelle dei partiti minori come Italia Viva. Al punto che, come sulla riforma della giustizia, IV ha fatto mancare i suoi voti senza che però il governo modificasse la sua rotta. La presenza in un governo del “tutti dentro” doveva giovare a Italia Viva consolidandone il ruolo di partito centrista ed interprete della linea Draghi, invece il risultato è stato quello di una condanna all’irrilevanza con sondaggi stabilmente sotto la soglia del 4 per cento.

La sorte del Movimento di Conte rischia di essere ancora più drammatica: proseguendo su questa strada, l’apertura della crisi condurrà a elezioni anticipate, con il risultato che i Cinque stelle non potranno tentare di recuperare consenso con un giro di opposizione. Anzi, dovranno subire le accuse di aver fatto saltare il governo della stabilità e ripensare anche l’alleanza con il Pd, che sembra ormai compromessa. Non certo lo scenario ideale per presentarsi al voto, sperando di recuperare il consenso perso in cinque anni di governo ininterrotto.

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