Brutta sorpresa sotto l’albero di Natale per Elly Schlein, la candidata “di sinistra” alle primarie del Pd. Dopo settimane di dubbi amletici, Gianni Cuperlo ha deciso di lanciarsi lui nella corsa. È il quarto uomo. Lo fa con un’intervista a a Huffington Post che esce insieme a Repubblica: «Con umiltà ci sarò perché in discussione questa volta è l’esistenza del Pd. Non pesano solo la sconfitta e i sondaggi, ma il non aver mai voluto discutere la perdita dei sei milioni di voti dal 2008 a oggi. Vorrei aiutare a farlo nella chiarezza delle idee, fuori da trasformismi che hanno impoverito l'anima della sinistra», dice. 

E ancora: «Avrei voluto un congresso che non partisse dai nomi. In questi anni abbiamo cambiato nove segretari e vissuto tre scissioni, forse dovremmo riflettere sul perché. Stimo Stefano, Elly, Paola», ma evidentemente non abbastanza da sostenerli, «solo penso che senza un confronto plurale e sincero i guasti di ora potrebbero riprodursi dopo».

Bonaccini festeggia

E adesso al comitato di Stefano Bonaccini, considerato il favorito al congresso, possono stappare lo spumante anche prima che inizino le feste: l’ex presidente del Pd forse non prenderà molti voti – la corrente di sinistra che fa capo a Andrea Orlando e Peppe Provenzano si sta già avvicinando a Schlein – ma certamente quelli che prenderà li sottrarrà alla deputata outsider, che sarebbe stata avvertita solo all’ultimo momento della decisione. 

Ed è difficile mettere insieme l’accusa che spesso ha fatto Cuperlo sul rischio di «produrre divisioni» avanzata all’indirizzo delle candidature già in campo, da ultimo in un’intervista al Riformista, e con l’ultima scelta, che senz’altro mette in conto anzi provoca una frattura nell’area della sinistra.

Nonostante le smentite private, all’ultima direzione Cuperlo aveva lasciato capire di non voler seguire i compagni nell’appoggio all’ex vicepresidente dell’Emilia Romagna: «Non accetto che il Pd sia considerato una bad company e che il bene sia solo fuori da noi, non capisco una discriminazione al rovescio. Non capisco perché chi si iscrive al partito non riceve lo stesso rispetto di chi per non appartenervi non incarna una superiorità sul resto». 

Sostiene Stefano

Se, come probabile, Cuperlo non sarà fra i primi due votati dagli iscritti, dovrà scegliere chi sostenere. Chi ci ha parlato assicura che sosterrà Schlein.

Eppure nell’intervista all’Huffington Post lascia scivolare, fra le altre, una risposta che lo avvicina assai di più a Bonaccini. Il tema è la revisione del Manifesto dei valori, oggetto del contendere fra riformisti e sinistra. Giusto ieri Enrico Letta si è impegnato a evitare torsioni a sinistra o cambi radicali.

Come chiedono i riformisti che sostengono il presidente dell’Emilia Romagna. Anche Cuperlo non chiede un cambio radicale di quella carta: «Il Pd non dev’essere rifondato nei valori che restano gli stessi di quando è nato. Casomai non li abbiamo sempre praticati».

La ri-corsa

Nella scorsa legislatura, da non eletto, Cuperlo è presidente della Fondazione nazionale del Pd, e da quella postazione ha organizzato alcuni eventi seminariali che avevano come oggetto proprio la ricerca di una nuova «identità» a sinistra.

Ma la sua area, costruita per lo più intorno alla sua persona, non ne era uscita particolarmente irrubustita. Né era riuscito a riunire la sinistra interna intorno a lui. Anzi, ormai si stava avviando al sostegno di Schlein, pure percepita da alcuni dirigenti come un corpo estraneo al partito.

Nelle prossime ore si vedrà se la scelta di candidarsi attrae verso Cuperlo proprio chi non era ancora del tutto convinto di votare la giovane outsider. 

Non è la prima volta che Cuperlo tenta di guadagnarsi la segreteria del Pd. Nel maggio del 2013 aveva annunciato la sua sfida all’astro nascente Matteo Renzi e ad agosto aveva lanciato il manifesto della sua candidatura alla Segreteria nazionale del Pd. Ma alla fine aveva perso, e non benissimo: Renzi aveva preso oltre il 67 per cento, lui il 18, Pippo Civati il 14 (all’epoca lo statuto consentiva di partecipare al voto dei gazebo ai primi tre classificati nel voto degli iscritti).

Il segretario vittorioso gli aveva offerto la presidenza del Pd. Offerta accettata. Ma il suo mandato si consuma come un lampo: il 21 gennaio si dimette dopo una divergenza con Renzi, che lo sfotticchia davanti alla direzione, su quella che il segretario ritiene una contraddittoria richiesta sulla legge elettorale: «Gianni, avrei voluto sentirti parlare di preferenze quando vi siete candidati nel listino senza fare le primarie».

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