«Quello che faremo alle elezioni europee lo decideremo insieme entro le prossime europee». Parlando con i cronisti a Napoli, Matteo Richetti scivola in una “catalanata” (da Massimo Catalano, indimenticabile filosofo dell’ovvio di Quelli della notte di Renzo Arbore) per confermare che sì, quello che faranno Azione e Italia viva alle europee lo decideranno entro le europee: in effetti deciderlo dopo non sarebbe utile. Il lapsus del capogruppo di Azione-Italia Viva alla Camera racconta che la decisione non è per questi giorni. Anche perché in questi giorni andrà in onda un altro episodio della guerra interna dell’ex Terzo Polo.

Oggi infatti Matteo Renzi proprio a Napoli lancerà «il percorso congressuale» di Iv, a un anno esatto dalla «data clou della politica europea», cioè il voto del 9 giugno 2024: «Per questo abbiamo titolato la nostra assemblea: 365 all’alba, l’alternativa è riformista».

Sempre a Napoli, il primo luglio, Calenda terrà un «evento programmatico» di Azione. Dunque le strade dei due leader restano «parallele», ammette Richetti, e convergono solo nei gruppi parlamentari. Ma alle europee chi non prende il 4 per cento è perduto.

Una confederazione

LAPRESSE

Ma il 4 per cento, cioè circa un milione di voti, si può prendere: ne sono sicuri procedendo da Nord a Sud, Letizia Moratti (circoscrizione nord-occidentale), Matteo Renzi e Beppe Fioroni (Italia centrale), Cateno De Luca (Italia meridionale e anche insulare). Se lo sono giurato il 29 maggio a Milano i firmatari della «Carta di San Patrignano», dal nome della discussa comunità di recupero che è la base operativa dell’ex sindaca, al convegno da lei organizzato, in cui è stata varata una «piattaforma condivisa», per la «convergenza delle migliori espressioni nazionali civiche e popolari, ancorate ai valori della Dottrina sociale della Chiesa, del riformismo laico e socialista, del liberalismo, dell’ecologismo». Un mischione che alle europee punta a diventare una lista di forze e forzine confederate.

Oltre i tre già nominati c’erano l’ex ministra Mariastella Gelmini, l’eterno tessitore di centri mai nati nonché grande finanziatore Gianfranco Librandi, gli ex forzisti Mario Mauro e Gaetano Quagliariello, l’anziano socialista Claudio Signorile e il giovane segretario Psi Enzo Maraio.

«Di progetti per costruire un centro liberale e moderato ne ho visti tanti», spiega Giacomo Portas, altro convenuto, detentore del marchio Moderati e mago dei numeri, «ma ho stima di Moratti e ho fiducia che questa sia la volta buona».

Per vederci un po’ più chiaro nei giorni scorsi è andato a parlare con lei. «Alle regionali hai già fatto un miracolo, in quindici giorni fare il 6 per cento in Lombardia è notevole», le ha detto, «con queste basi, in tanti si potranno aggregare e alle europee si può arrivare alla doppia cifra. Il punto però è che in questa federazione bisogna avere tanti rematori, ma pochi timonieri».

Una catena

Il timoniere più attivo al momento è Cateno De Luca, sindaco di Taormina appena plebiscitato, già fondatore di Sud chiama Nord. Un nome e un’agenda. De Luca, che all’incontro con Moratti si è solo collegato perché era in piena campagna elettorale. I suoi due parlamentari, la senatrice Dafne Musolino e il deputato Francesco Gallo, sono corteggiatissimi da entrambi i lati del Terzo polo. Tant’è che Musolino, quando si è candidata alla presidenza della commissione Antimafia, ha ottenuto quattro voti: due della casa, uno da Raffaella Paita (Iv) e uno da Giuseppe Castiglione (Azione), anche lui siciliano.

Alla nuova federazione, che Renzi descrive come una Margherita 4.0, Cateno porta in dote mezzo milione di voti da candidato alle regionali siciliane, secondo solo a Renato Schifani (eletto presidente). Ed è inarrestabile: punta a stringere i bulloni con Renzi. I suoi assicurano che fra i due non c’è stato ancora un contatto diretto, ma l’insistenza con cui il dettaglio viene sottolineato è curiosa. Ma vuole anche Calenda.

A entrambi offre «un matrimonio di interessi» che «mi consenta di sdoganare il nostro progetto a livello nazionale ma con il nostro brand». Negli scorsi giorni, approfittando delle zuffe interne al Pd, ha lanciato un amo verso l’altro De Luca, il presidente della Campania Vincenzo, cui ha inviato pubblica solidarietà per il declassamento del figlio Piero nel gruppo Pd: «Da noi il consenso è un valore aggiunto», ha detto lusingando l’omonimo, «perché dimostra che hai lavorato bene sul territorio».

Un’attitudine ecumenica dimostrata anche dalla scelta della portavoce nazionale di Sud chiama Nord: Laura Castelli, l’ex pentastellata poi passata al partito di Luigi Di Maio.

«Nelle braccia di Magi»

Il progetto confederale quaglierà dopo l’estate, sempreché i timonieri non litighino. Il nome non è deciso: Iv vorrebbe contenesse la parola «Italia» per catturare gli ex forzisti, ma, spiega Portas, «c’è già Forza Italia, Fratelli d’Italia, Italia viva», dunque il nome del nostro paese è troppo inflazionato nei marchi elettorali. Il «Terzo polo» è già fallito, inutile resuscitarlo.

Bandita anche la parola «centro», almeno finché si spera di agganciare anche Azione. Anche se da parte Iv è consolidata la convinzione che Renzi e Calenda siano diventati incompatibili. Azione dunque potrebbe smarcarsi e tornare all’ovile con +Europa di Riccardo Magi e Emma Bonino, dopo la clamorosa rottura delle politiche.

Ma i buoni sondaggi consigliano i pragmatici a non farsi scappare l’ex ministro. E infatti la settimana scorsa l’ex ppi Fioroni è stato avvistato in parlamento a caccia di “azionisti” da convincere. Con queste parole: «Occhio, se non state con tutti noi finirete nelle braccia di Magi».

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