«La vita è solo troie e milioni/ lo dice Ice Cube e pure Berlusconi» cantava Guè Pequeno nel 2017. Cortocircuito glam milanese: qualche anno prima il rapper si era fidanzato brevemente con Nicole Minetti, l’«igienista dentale» delle cene eleganti. «Voglio tutte le fighe d’Italia, attenzione Berlusconi» intimava l’italo-ghanese Bello Figo in Swag Berlusconi, con la voce stravolta dall’autotune e una mazzetta di banconote da 20 in mano nel videoclip. Il mondo dell’hip-hop che storicamente disseminava nei versi citazioni di don Vito Corleone e Scarface, evocava la versione vanziniana/iperrealista di B. con gli occhiali scuri e la bandana.

Solo poco fa, un post di Baby Gang, giovane trapper italo marocchino attualmente detenuto in una comunità, invitava a votare Forza Italia seriamente. Per motivi di garantismo, più o meno: Gira e rigira il capo rimane sempre lui». 

La musica ha occupato un posto importantissimo nell’autofiction di Silvio che, Croce insegna, è mezza autobiografia della nazione. Mito di formazione: quando Berlusconi studente universitario - alla Sorbona pare, forse per un corso estivo - si esibiva ventenne in un cabaret a Parigi. 

«Ero diventato il numero uno», disse una volta da Maurizio Costanzo. E in un’altra occasione cantò qualche verso della sua canzone: Le cafè, spiegando che parlava di un signore che aspetta la sua fidanzata al caffè sbagliato e, quando dopo anni se ne accorge, capisce che lei si è sposata col padrone del caffè di fronte.

 A far passare in secondo piano la verosimiglianza di tutta la storia bastava l’evocazione di Parigi,  sogno proibito dei cumenda italiani anni ’50, le folies, la nuit, le ballerine. Nella versione più completa (e più folle) Berlusconi diceva di essere stato una specie di imitatore di Henri Salvador, coi pantaloni a righe e i capelli "tagliati alla caraibica". Svelava anche il suo soprannome: Dani Daniel. Finché suo padre lo venne a prendere per un orecchio una sera, e lo riportò a casa.

Le navi da crociera

L’amico di sempre Fedele Confalonieri ricordava che insieme avevano suonato sulle navi da crociera, lui il piano e Silvio la chitarra. Un po’ di Gerwshin, forse del jazz.

Il transatlantico sarebbe stato il Federico C sulla rotta Genova-Sudamerica, fine anni Sessanta. Questo lo svelò Paolo Villaggio, che si esibiva con Fabrizio De Andrè al piano di sopra («faceva addormentare i vecchi della prima classe con Quando la morte ti chiamerà»). Villaggio era convinto che nel repertorio dei due ex compagni di scuola ci fosse anche Come prima di Tony Dallara, un classicissimo della modernità milanese del boom, come il grattacielo Pirelli. 

La Francia, l’arte della seduzione, la faccia tosta dello chansonnier. Però raccontata da Carletto Dapporto. Napoli, l’educazione sentimentale: Noemi Letizia, il G7, l’avviso di garanzia. «Sono un napoletano nato a Milano», ha ripetuto Berlusconi anche di recente. All’hotel Vesuvio durante una cena incontra Mariano Apicella, inizio anni Zero.

Apicella è un posteggiatore, nobile arte, e canta girando per i tavoli. Diventa l’accompagnatore ufficiale e incide un disco di canzoni scritte da Silvio. La più famosa dice: «Ammore ammore mio/ mon amour, / pareva n’avventura e niente più».

La coppia è notevole, una specie di Don Giovanni e Leporello di serie z. Dopo essere approdato all’Isola dei Famosi e da qui al processo Ruby Ter, Apicella torna nell’ombra.

Musica e politica, infine, nella Cavalcata delle Walkire suonata alla presentazione del Milan 1986, sceso in elicottero a Milanello tipo Apocalipse Now. E il nuovo inno del Milan scritto da Tony Renis e da un certo Guastini.

Dopo un introduzione strawinskiana partiva un lungo coro a bocca chiusa alla Amico è di Dario Baldan Bembo, per finire nell’esplosione natalizia di «Milan, Milan/ solo per noi». Andava ascoltato rigorosamente nella nebbiolina di San Siro, tipo foresta wagneriana, per comprendere bene l’effetto. La prima esecuzione - Tony Renis lo ricorda sempre - avvenne alla presenza di Silvio Berlusconi e Bettino Craxi in tribuna autorità.

L’inno di Forza Italia («è tempo di credere») 1994 ripete la grande operazione trash-wagneriana dell’inno del Milan. Stessa struttura. Stesso flipper emotivo. La musica stavolta gliela scrive Renato Serio (a lungo collaboratore di Renato Zero), il testo lo scrive Silvio.

Abbiamo quasi dimenticato quale fu lo shock nel vedere signori e signore incravattati cantare assieme coi sottotitoli che si illuminavano di blu, tipo convention aziendale. Era un’invenzione di Fiorello. Il fatto è che Silvio e Confalonieri avevano studiato dai salesiani e frequentato l’oratorio: l’inno di Forza Italia ebbe fin da subito il dolce retrogusto delle interminabili repliche di Peppone e Don Camillo su Rete4, fino a convincerci che quella era la storia vera.

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