«Diciamocelo chiaramente: in Italia ci sono ancora forti discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali. Questa è la verità». Luigi Di Maio, ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento 5 stelle, commenta così la fine del ddl Zan al Senato.

Già ieri mattina Di Maio si era espresso sulla questione, spiegando che «il ddl Zan dovrebbe diventare legge in pochi minuti». Non è andata così, e le sue parole sono sembrate l’occasione per rimediare all’inciampo della sera precedente durante un’intervista a Otto e mezzo per presentare il suo nuovo libro, Un amore chiamato politica (Piemme).

Di Maio aveva ribadito quello che aveva scritto: «Per screditarmi mi hanno definito omosessuale»: di fronte alla domanda di Lilli Gruber se essere gay nel 2021 potesse ancora essere un problema, il ministro ha spiegato che «io nel libro ho detto che non mi sono offeso ma semplicemente che era una notizia non vera e che io sono eterosessuale». L’ex capo del Movimento ha condannato le «accuse» spiegando che se fosse stato gay «non l’avrei vissuta come una colpa».

In sintesi: essere gay è un non-problema che però può diventare un problema. Un avvitamento concettuale che appare come il tentativo di non scontentare l’elettorato più conservatore del Movimento, di cui Di Maio è sempre stato il riferimento.

“L’accusa”

Il racconto di Di Maio fa riferimento alle parole di Vittorio Sgarbi del 2018. Poco dopo le elezioni in cui il Movimento aveva trionfato, spiegava che «recentemente ho scoperto che ha un fidanzato, Vincenzo Spadafora. Sono felice finalmente di avere un premier gay, così sereno e affettuoso e sorridente».

Il ministro all’epoca non aveva commentato, ma la voce era riemersa: anche la giornalista Maria Giovanna Maglie nel 2019 aveva identificato Virginia Saba, l’attuale compagna di Di Maio, come facciata per «far tacere le chiacchiere sulla sua presunta omosessualità».

Negli ultimi tempi l’ex capo politico cerca di mostrarsi a proprio agio con la collocazione nel centrosinistra del Movimento, ma le sue dichiarazioni del passato dicono di una sensibilità non proprio progressista.

O almeno non abbastanza per cementare l’alleanza con il partito del defunto ddl Zan, ucciso nel voto segreto probabilmente anche dai tiratori del M5s.

Nel 2019, intervistato da Fabio Fazio, Di Maio diceva: «Da cattolico penso che la famiglia sia col papà e con la mamma», spiegando poi che «i bambini non sono un diritto».

Posizioni passeggere

Nel libro Di Maio racconta che nel 2016 era «personalmente favorevole alla stepchild adoption, ma che forse non avevamo un’opinione pubblica ancora pronta a un passo del genere»: il risultato è stato la concessione della libertà di coscienza ai parlamentari e poi lo stralcio della norma nel testo delle unioni civili di cui il M5s è stato ritenuto corresponsabile.

Una decisione che era stata considerata una sconfessione della linea tenuta fino a quel momento. I parlamentari Cinque stelle si erano adoperati per non eliminare proprio quel passaggio e anche una precedente consultazione degli iscritti non poneva veti alla concessione di questo tipo di adozione anche per le coppie omosessuali.

L’onta pesa ancora oggi sul Movimento, anche se gli attivisti Lgbt non lo ritengono migliore o peggiore degli altri partiti.

«Ci sono esperienze positive con rappresentanti del M5s soprattutto a livello locale, come nel caso di Chiara Appendino, che da sindaca ha nominato assessore alle Pari opportunità il segretario di Arcigay Torino», dice Vincenzo Branà di Arcigay. Ma a livello nazionale, spiega, c’è «uno zoccolo duro di “catto-Cinque stelle” nel partito» e conta molto l’impronta personale del capo politico del Movimento.

Quella di Di Maio e poi di Giuseppe Conte non prevede una linea univoca sui diritti civili: coesistono posizioni conservatrici e slanci arcobaleno che precipitano perfino a sinistra del Pd.

«Conte non si è espresso a favore del testo del ddl Zan quando era premier», dice Fabio Marrazzo, portavoce del Partito gay per i diritti Lgbt. Anche dopo aver lasciato palazzo Chigi, l’avvocato di Volturara Appula ha avuto qualche difficoltà a schierarsi a favore della legge: a metà luglio il suo silenzio sul posizionamento del Movimento nei giorni caldi del dibattito aveva colpito.

Qualche giorno dopo è arrivata la decisione di unirsi alla battaglia del Pd. Una scelta che potrebbe non essere stata condivisa da tutti i parlamentari e, soprattutto, dagli elettori.

© Riproduzione riservata