Dopo la Lega di Matteo Salvini anche il movimento dei gilet arancioni dell’ex generale dei carabinieri, Antonio Pappalardo, sembra essere stato “sedotto” dall’europeismo del premier incaricato, Mario Draghi. In una conferenza stampa di presentazione della manifestazione “mascherina free” prevista a Milano il 13 febbraio, Pappalardo, ha chiesto «un incontro» all'ex presidente della Bce dicendo che «Draghi ha preparazione professionale» e aggiungendo: «Dobbiamo ammetterlo, Draghi ha operato bene dove ha operato, per quali interessi non lo sappiamo ma non possiamo metterlo al livello di un Di Maio».

I gilet arancioni sono quindi pronti da «uomini delle istituzioni» a incontrare il premier incaricato che «ascolta tutti» e quindi «deve ascoltare l’unico movimento che ha portato 50mila persone in piazza per protestare contro la gestione del virus». Pappalardo ha quindi detto di essere «in attesa» della chiamata di Draghi. 

Verso la lira «italica»

Il movimento dei gilet arancioni si è contraddistinto in questi ultimi mesi per essere un cocktail esplosivo a base di sovranismo e negazionismo sulla pandemia. Pur non definendosi «negazionisti», Pappalardo e i suoi seguaci sono scesi fin da maggio per le strade delle città italiane protestando conte «la dittatura sanitaria» e chiedendo a gran voce il ritorno alla «lira italica». Obiettivi che li hanno portati a confluire nel movimento Italia libera fondato dall’ex sottosegretario berlusconiano, Carlo Taormina, e dai neofascisti di Forza nuova. I classici alleati che un europeista come Draghi vorrebbe.

Il tecnico-sovranista

Per strano che possa apparire sentendo i suoi discorsi sovranisti, Pappalardo ha un passato da tecnico di un governo europeista: è stato membro del primo governo tecnico nella storia italiana. Eletto nel 1992 tra le file del Psdi, l’ex generale è stato sottosegretario alle Finanze del governo Ciampi. L’esperienza governativa è però durata poco. Due settimane dopo la nomina il tribunale militare lo ha condannato a otto mesi di reclusione per una diffamazione ai danni del Comandante generale dell’Arma costringendolo alle dimissioni. Ma ora da «uomo delle istituzioni» è di nuovo in gioco. 

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