La proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis è al centro dello scontro nella maggioranza: in particolare la Lega ha fatto sapere di voler fare le «barricate» per impedire l’approvazione di quella che considera una bandiera della sinistra.

Il disegno di legge che dovrebbe arrivare alla Camera è stato depositato nel 2019 dal deputato di Più Europa, Riccardo Magi, e modifica il testo unico stupefacenti numero 309/1990 e soprattutto l’articolo 73, che disciplina molto duramente il possesso e la cessione di tutti i tipi di droghe. Tanto che – secondo i dati del ministero della Giustizia – il 35 per cento dei 54mila detenuti italiani sono in carcere per reati commessi in violazione di quella legge.

La proposta, sostenuta e portata avanti anche dal Partito democratico e dal Movimento 5 Stelle, prevede di rendere lecita «a persone maggiorenni la coltivazione e la detenzione, esclusivamente per uso personale, di non oltre quattro piante femmine di cannabis, idonee e finalizzate alla produzione di sostanza stupefacente, e del prodotto da esse ottenuto». La coltivazione e l’utilizzo, però, possono essere solo personali e rimane punita la cessione del prodotto e la sua vendita.

Il testo prevede l’inasprimento delle pene, invece, in caso di commercio di droghe, aumentando la pena minima passa dai 6 anni agli 8 e aumenta anche la multa. Infine, il ddl punta a ridurre le pene per la coltivazione, la vendita e la cessione di tutte le sostanze stupefacenti, nel caso in cui il fatto commesso «per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la quantità delle sostanze, è di lieve entità».

Il consumo in Italia

L’obiettivo è quello di depenalizzare una serie di fatti, commessi soprattutto da giovani e giovanissimi, introducendo una maggior gradazione sulla gravità delle condotte. Inoltre, legalizzando la coltivazione ad uso personale si dovrebbe prosciugare il mercato illegale che oggi è una delle principali fonti di reddito delle organizzazioni criminali.

Secondo i dati forniti con la relazione 2022 del governo al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze, la cannabis è il prodotto più utilizzato in Italia. Il contrasto alla cannabis ha riguardato il 50 per cento delle operazioni antidroga e cannabis era il 74 per cento delle sostanze sequestrate nel 2021. Quanto alle stime sul mercato illegale, “il 44 per cento della spesa totale stimata per il consumo di sostanze stupefacenti è attribuibile proprio al consumo dei derivati della cannabis”, con una media di di circa 59 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti.

Rispetto al tipo di consumatori, i dati Espad Italia 2021 indicano che il 24 per cento degli studenti ha consumato cannabis almeno una volta nella vita e il 18 per cento di 15-19enni l’hanno usata nel corso dell’ultimo anno.

Rispetto invece al tipo di consumo, si legge che “l'uso di cannabis è spesso esclusivo e si accompagna a quello di altre sostanze solamente nel 9 per cento dei casi”. Quanto alle conseguenze sanitarie dell’utilizzo, rimangono marginali: nel 2021, l'11 per cento delle persone in trattamento presso i SerD usava i cannabinoidi come sostanza primaria. In sintesi, quindi, in Italia il consumo di cannabis è diffusissimo soprattutto tra i giovani nonostante la severa legislazione in vigore.

La relazione del governo

Se dal dibattito parlamentare sul disegno di legge il governo ha scelto un profilo neutrale, è la stessa relazione annuale del governo al parlamento in tema di tossicodipendenze a suggerire la necessità di modificare l’articolo 73 del Testo unico sulle droghe.

La relazione non ha recepito indicazioni politiche, ma le proposte elaborate durante la Conferenza nazionale sulle dipendenze di Genova nel 2021 e voluta dalla ministra Fabiana Dadone, responsabile delle politiche anti-droga. Si legge che sarebbe utile “sottrarre all’azione penale sia la coltivazione di cannabis a uso domestico, sia la cessione di modeste quantità per uso di gruppo laddove non sia presente la finalità di profitto”. Non solo, andrebbe anche superato quello che oggi è u rigido sistema tabellare per stabilire la quantità di prodotto a uso personale e quello che si presume per spaccio, “rimettendo il giudizio alla discrezionalità del giudice”. Tra le altre proposte, anche quella di “esclusione dell’obbligatorietà di arresto in flagranza e l’esclusione, in ogni caso, della previsione dell’arresto obbligatorio”. Infine, dal punto di vista della detenzione, di dare spazio all’istituto della messa alla prova e dei lavori di pubblica utilità come sanzione sostitutiva al carcere.

Anche dalla relazione, dunque, emerge che l’architrave repressivo del Testo unico poggia sull’articolo 73, che produce una enorme mole di procedimenti penali e denunce, non graduando la dannosità delle condotte e quindi provocando un flusso ingestibile di detenuti e di procedimenti penali, senza tuttavia intaccare la diffusione del fenomeno.

Gli effetti sul carcere

Attualmente, con una popolazione carceraria di oltre 54 mila persone (circa 6mila più del previsto, secondo gli standard pre covid), circa il 35 per cento dei detenuti si trova in carcere per reati connessi al Testo unico sugli stupefacenti, soprattutto detenzione e spaccio. Qualora la riforma venisse approvata, dunque, i primi effetti si vedrebbero sul carcere con una riduzione degli ingressi in caso di consumo personale, coltivazione e altri reati che verrebbero considerati di lieve entità. Infatti, nel 2021, il 41 per cento (12371 denunce) delle denunce per reati di droga e circa il 75 per cento delle segnalazioni per detenzione ad uso personale di sostanze stupefacenti hanno riguardato la cannabis e i suoi derivati. Tra le denunce, il 97 si riferivano a reati di traffico e di spaccio, il 2,8 ad associazione per delinquere finalizzata al traffico. Gli arrestati sono stati 7191. Il dato è pesante sui giovanissimi fino a 19 anni: quasi tutti i segnalati, infatti, lo sono stati per detenzione ad uso personale di cannabinoidi.

Indirettamente ne beneficerebbe anche il sistema giustizia, oberato da arretrato e dall’enorme mole di procedimenti penali. Secondo i dati del ministero della Giustizia riferiti al 2020, infatti, la sola violazione dell’articolo 73 del Tu ha prodotto 92.875 procedimenti penali.

 

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