Disinnescata la conferenza stampa e la vicenda-Pozzolo, Giorgia Meloni può preparare l’agenda per i prossimi mesi. A cominciare dai dossier più complicati. E se per il deputato pistolero di Fratelli d’Italia, la presidente del Consiglio è riuscita a cavarsela con deferimento e sospensione, la corsa a ostacoli di inizio anno prosegue con tavoli politici complicati. Che incrociano il piano nazionale con quello locale. Il pensiero vola alle candidature per le regionali. Gli scambi di convenevoli, a mezzo stampa, tra alleati sono diventati un ricordo nel volgere di poche ore. A rompere la tregua è stato il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa, la testa d’ariete di Matteo Salvini.«La Lega è per riconfermare i presidenti uscenti: Solinas in Sardegna, Marsilio in Abruzzo, Bardi in Basilicata e Cirio in Piemonte», ha detto Crippa in un’intervista ad Affaritaliani.it, sconfessando l’accordo trovato sul tavolo regionale (senza comunque l’ok leghista). «Se così non fosse anche per una sola regione», ha aggiunto il vice di Salvini, «si riaprirebbero i giochi e il tavolo su tutte le altre regioni».

Unità sulla carta

L’oggetto della contesa, non è un mistero, è il nome di Christian Solinas, presidente uscente della regione Sardegna. Salvini lo ha posto sotto la propria ala protettiva. Fratelli d’Italia, però, non vuol sentire ragioni. «Il nostro candidato è Paolo Truzzu (sindaco di Cagliari, ndr)», ha risposto, in un colloquio con l’Unione sarda, Antonella Zedda, senatrice e soprattutto coordinatrice di FdI in Sardegna. «Niente e nessuno può modificare quella scelta che ormai deve essere considerata come ufficiale e definitiva», ha ribadito dal territorio il centrodestra sardo. Bye bye Solinas, quindi.

La questione è stata teoricamente chiusa nella giornata di giovedì. Ma se così fosse, per la Lega bisognerebbe ripartire daccapo per ogni singola regione. La dinamica non è derubricabile come territoriale. Dopo gli elogi all’unità della coalizione pronunciati da Meloni in persona, il tema è nazionale. Non a caso saranno i leader a dover risolvere la vicenda con un vertice. Le scorie di questo braccio di ferro non saranno facili da smaltire, indipendentemente da come finirà. E così l’unità del centrodestra, sbandierata davanti alla stampa dalla premier Meloni, non esiste. Nemmeno su questioni di base, come quella sui nomi per le regionali.

Le elezioni sono un problema a più livelli. Comprese le Europee. La premier ha lasciato intendere di volersi candidare, ma attende gli alleati. Perché se tutti gli altri leader lo facessero «sarebbe un test democratico interessante», ha detto. Il voto di giugno si trasformerebbe davvero in una tornata di mid term. Una fuga in avanti che gli alleati hanno vissuto come uno strattone. È vero che la decisione sarà presa insieme, ma intanto c’è stato il passo in avanti di Meloni. Antonio Tajani deve vincere formalmente il congresso di Forza Italia, in programma a fine febbraio: sulla carta non ha avversari, ma la fila dei nemici interni è ogni giorno più grossa. E il ministro degli Esteri non ha molta voglia di mettersi in discussione a pochi mesi dall’elezione a segretario di FI. Anche perché, dopo la morte di Silvio Berlusconi, le europee sono il primo vero test sullo stato di salute del partito. Un’incognita. Lo stesso Salvini preferirebbe non essere strattonato per correre al voto.

Dunque, nel centrodestra, l’entusiasmo di Meloni sulle “Europee dei leader” diventa un’intromissione nelle dinamiche interne alla Lega, così come di Forza Italia. La composizione delle liste va completata tenendo in considerazione varie sensibilità: sia salviniani che forzisti perderanno eurodeputati. Poco male, comunque, per la presidente del Consiglio. Dalle parti di FdI l’opzione è win-win: Meloni ha dato la disponibilità, accarezzando l’idea di fare il pieno di preferenze. E rafforzare la leadership. Nel caso dovesse andare in altro modo, quindi con liste senza leader, la responsabilità può essere addebitata agli altri compagni di viaggio al governo.

Balneari della discordia

Ma la concatenazione di nervosismi non corre solo sul piano delle candidature elettorali. Ci sono le questioni concrete, che divideranno gli alleati di governo, da oggi fino ai prossimi mesi. La lettera del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sulle concessioni agli ambulanti, e di riflesso ai balneari, ha scosso la maggioranza. La Lega e Forza Italia sono ostili a qualsiasi cedimento di sorta. Ieri il capogruppo al Senato di FI, Maurizio Gasparri, ha rilanciato la battaglia che lo vede in prima linea da anni: «Noi difendiamo le imprese del turismo, non vedo perché dovremmo cedere le nostre coste alle multinazionali straniere». Matteo Salvini, con una nota del partito, aveva già lanciato la sfida al Colle, subito dopo la diffusione dell’appello di Mattarella: «Non ci arrendiamo a chi, nel nome dell’Europa, ha provato a svendere lavoro e sacrifici di migliaia di italiani». Il senso è chiaro: la partita è solo all’inizio, ed è il prossimo fronte di scontro interno alla maggioranza. Posizione che è condivisa in buona parte di Fratelli d’Italia, con in testa l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ha contestato la direttiva Bolkestein: «È superata dalla storia».

Eppure la premier non vuole ignorare la lettera del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. I rilievi del Quirinale non sono frutto di principi ideologici astratti, ma ben radicati nelle richieste formulate dall’Unione europea e quindi sui valori costituzionali. Non è chiaro quale possa essere il punto di caduta per mettere d’accordo l’oltranzismo della destra agli appunti del capo dello stato. Di sicuro la conferenza stampa di “fine anno” ha confermato che Meloni non vuole usare le inchieste per avvantaggiarsi. Perché per un attacco gratuito, arriva un Pozzolo di turno che presta il fianco a eventuali controffensive. La premier preferisce così giocare la sfida sul livello politico.

© Riproduzione riservata