Tanta propaganda, che è finita lontana dai binari della realtà. Dall’economia alle riforme istituzionali, durante la conferenza stampa – nell’auletta dei gruppi alla Camera – Giorgia Meloni ha inanellato una serie di inesattezze. Talvolta marchiane. Tanto da farsi sfuggire una frase dal sen fuggita: «Una legge di Bilancio approvata in tempi record». Di fronte agli occhi sgranati per la sorpresa dei presenti, ha precisato: «Intendo approvata in consiglio dei ministri».

Pil italiano vs Ue

L’incontro con la stampa è iniziato con un’affermazione falsa: «La crescita stimata è superiore alla media europea». Una frase ripetuta una seconda volta durante il confronto con i giornalisti. I numeri indicano il contrario. Le stime dell’Unione europea segnano un aumento del Pil italiano dello 0,9 per cento nel 2024, contro l’1,3 dell’Ue e l’1,2 dell’area euro. Nemmeno nel 2025 è previsto un cambiamento del trend: il Pil italiano è stimato al +1,2 per cento, mentre per l’Ue si prevede un +1,7 per cento e per l’area euro +1,6 per cento. Insomma, la crescita europea è più alta di mezzo punto o giù di lì rispetto a quella italiana.

Le tasse di Meloni

Nessun aumento delle tasse. Meloni ha espresso con convinzione il concetto. Sostenendo addirittura di averle ridotte con un taglio della spesa pubblica. In questo caso sono due gli aspetti non veritieri. La manovra ha solo “stoppato” l’aumento delle tasse, confermando il taglio del cuneo fiscale. La busta paga sarà uguale a quella dell'anno scorso. E soprattutto l’intervento è stato fatto ricorrendo in gran parte al deficit, e non con l'operazione di spending review.

Concessioni pre-mappate

Con tono provocatorio, la presidente del Consiglio ha detto: «Siamo stati i primi a fare l’operazione di mappatura delle coste» per le concessioni. Lasciando intendere che gli altri non hanno mai considerato la cosa. In realtà già dal 1993 esiste il sistema informativo demanio (sid) portale del mare, che fa capo al ministero delle Infrastrutture, con la mansione di acquisire informazioni sulle concessioni e le aree a disposizione.

Ermo Colle

«Manteniamo intatto il ruolo del Presidente della Repubblica», ha detto Meloni sulla riforma costituzionale, riproponendo il solito tormentone di Fratelli d’Italia. C'è un "ma". Il testo, approdato in parlamento, obbliga di fatto il capo dello Stato a sciogliere le Camere se non riesce a trovare un “premier alternativo” tra i parlamentari dello schieramento vincente. Un depotenziamento difficile da contraddire. Ed è peraltro il ragionamento proposto da uno storico dirigente del centrodestra: Gianni Letta. La riforma «fatalmente ridurrebbe i poteri del presidente della Repubblica», ha affermato l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi.

Autonomia settentrionale

Tra le varie parole in libertà pronunciate da Meloni, ci sono state quelle sull’autonomia. «Non vedo sperequazioni tra nord e sud, l’Autonomia non è togliere a una regione per dare a un’altra», è stata la posizione espressa dalla premier. A dire il contrario è però il dossier del servizio studi di Palazzo Madama. Il documento è stato criticato dalla destra ma è tuttora consultabile sul sito del Senato. «Le regioni (quelle del Mezzogiorno, ndr) più povere ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le funzioni aggiuntive», scrivono i tecnici nell’analisi della riforma.

La (non) tassa sulle banche

La presidente del Consiglio ha rivendicato il «coraggio» per aver introdotto la tassa sugli extraprofitti delle banche, che interviene su un «margine ingiusto», ha tenuto a precisare. Solo che la misura non ha prodotto alcun gettito aggiuntivo per le casse statali. Le risorse degli extraprofitti possono essere impiegate nel rafforzamento del patrimonio degli istituti di credito. Secondo Meloni, questo favorirà un aumento del credito erogato. Ma è un auspicio, non un dato di fatto.

Invisibile piano Mattei

Non è mancato uno dei must della comunicazione del governo Meloni: il piano Mattei. «È più avanti di quanto possa sembrare», ha sottolineato. Effettivamente la prossima settimana alla Camera ci sarà la conversione definitiva del decreto. Il testo indica solo la governance del progetto. Non c’è traccia di quali sono i reali contenuti. «Ci sono», ha garantito la presidente del Consiglio. Ma ha preferito non dirli nella sede della conferenza stampa. Chissà.

Anas a tempo

Sull’inchiesta per gli appalti Anas, è stato trovato un comodo rifugio: «Riguarda il governo precedente, Salvini non deve riferire in aula», ha sostenuto Meloni. In realtà i fatti abbracciano un lasso di tempo tra il 2021 e il 2023. E con elementi di inchiesta relativi al ministero oggi guidato da Matteo Salvini.

Garantismo di governo

Meloni ha poi criticato le richieste di dimissioni rivolte a esponenti del governo finiti a processo, come il sottosegretario Andrea Delmastro, o comunque interessati da questioni di opportunità. «Non credo che si possa essere, come succede a sinistra, garantisti con i propri e giustizialisti con altri», ha scandito la premier. Una conversione sulla strada di Palazzo Chigi. E ne sa qualcosa Matteo Renzi. «È un esecutivo che fa gli interessi dei propri amici e dei propri protettori. Come abbiamo fatto con il ministro Boschi con lo scandalo di Banca Etruria, Fratelli d’Italia non chiede le dimissioni del ministro Guidi ma le dimissioni di Renzi e dell’intero governo», scrisse Meloni nella nota datata 1 aprile 2016. Insomma, non le dimissioni di un ministro. Ma di tutti.

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