Il governo ha presentato un emendamento al decreto Aiuti bis, approvato ieri pomeriggio alla Camera, che cancella la norma che deroga al tetto di 240mila euro per gli stipendi dei dirigenti di forze armate, polizia e pubblica amministrazione.

La deroga al tetto era stata approvata inizialmente in Senato con il voto di Forza Italia, Pd e Italia viva e il parere favorevole del governo. Subito dopo la pubblicazione della notizia, però, c’è stata una generale marcia indietro e una richiesta di cancellare l’emendamento. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso perplessità sulla norma considerata inopportuna.

La deroga è stata eliminata grazie a un emendamento presentato durante il passaggio del decreto alla Camera, in particolare in commissione Bilancio. Nei prossimi giorni sarà quindi necessario svolgere un nuovo esame del decreto al Senato, il secondo, poiché i deputati approveranno un testo diverso.

Da un punto di vista legislativo, sarebbe bastato che non fosse predisposto l’apposito dpcm per lasciare la deroga agli stipendi esistente sulla carta ma nei fatti inattuata. Ma il governo ha preferito eliminarla del tutto.

Il pasticcio

Nell’emendamento al decreto Aiuti bis, approvato al Senato dopo la riformulazione e il via libera tecnico del ministero dell’Economia, non è specificata l’entità della spesa per la deroga concessa ai vertici delle forze armate e ai «capi dipartimento della presidenza del Consiglio dei ministri, ai capi dipartimento dei ministeri, al segretario generale della presidenza del consiglio dei ministri, ai segretari generali dei ministeri», come si legge nel testo.

La norma, molto contestata, potrebbe costare poche migliaia di euro come, per assurdo, milioni di euro. Una motivazione in più, da parte della presidenza del Consiglio, per chiedere che la norma venga cancellata in un successivo provvedimento, il primo utile è quello atteso in Consiglio dei ministri prima del fine settimana per varare il nuovo pacchetto di sostegno a famiglie e imprese contro i rincari della bolletta energetica.

L’unica prescrizione prevista è che il trattamento economico accessorio sia «di importo determinato nel limite massimo delle disponibilità» del fondo per le esigenze indifferibili. Un plafond che, nella legge di Bilancio del 2022, ammontava inizialmente a 78 milioni di euro e che, secondo una stima rispetto alle somme impiegate, ha attualmente una dotazione di circa 40 milioni di euro. Ed è una cifra che non può essere raggiunta con l’aumento dello stipendio che dovrebbe essere stabilito da palazzo Chigi d’intesa con il Mef.

Si tratta di un bacino molto ampio, peraltro impiegato per varie finalità. Ad attirare l’attenzione è l’approccio più soft della ragioneria, attualmente guidata da Biagio Mazzotta, rispetto all’individuazione degli oneri, generalmente molto precisa, che in questo corto circuito è toccata in maniera diretta dal provvedimento.

La Rgs è infatti uno dei dipartimenti del ministero dell’Economia. All’interno dello stesso decreto si individuano, in vari articoli, l’entità specifica degli oneri di spesa, che per lo sfondamento del tetto viene rimandata solo a palazzo Chigi. In passato, per fare un esempio, il ministero, dietro suggerimento della ragioneria dello stato, aveva negato il via libera a una proposta di legge, dal costo totale di un milione di euro, per potenziare il contrasto alla diffusione dell’Aids. È un caso tra tanti, emblematico della rigidità su alcuni punti.

Cancellazione governativa

Ieri, il premier Mario Draghi aveva già fatto trapelare il proprio disappunto, indicando in via informale che è stata una «dinamica squisitamente parlamentare». Dunque c’è stato il solito rimpallo di responsabilità, tra governo, partiti e tecnici con la ripartenza delle dichiarazioni da parte dei leader, impegnati in campagna elettorale.

Nelle ultime ore si è rifatto sentire il segretario del Pd, Enrico Letta, ha parlato di un «guaio assoluto e totale», mentre il presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, ha definito la norma «vergognosa». Già nelle ore precedenti altri, da destra a sinistra, hanno promesso di voler cancellare questa legge.

A conti fatti, comunque, tutte le parti in causa hanno giocato un ruolo: l’emendamento è stato firmato da Marco Perosino (Forza Italia), riformulato dal governo, e approvato in commissione. Chiunque giura che è stato votato per distrazione, senza aver letto il contenuto, come accade talvolta in presenza di un testo rimodulato dall’esecutivo.

I sottosegretari sarebbero chiamati a controllare cosa accade in parlamento, ma molti hanno il pensiero rivolto altrove, alla campagna elettorale che stanno portando avanti, mentre tanti deputati e senatori agiscono in maniera autonoma per la mancata ricandidatura.

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