Cresce sempre più il numero dei notabili Pd che in un modo o nell’altro chiedono apertamente alla segretaria di non candidarsi alle europee. Il modo di Michele Emiliano, presidente della Puglia, è quello notoriamente suo: chiaro e tondo. Ieri su La7 ha detto le cose alle quali fin qui gli altri avevano girato intorno: «Schlein candidata si giocherebbe tutta la sua segreteria che è appena iniziata. E non sta scritto da nessuna parte che lo debba fare». Conclusione di Emiliano: «Ho l’impressione che Schlein questa scelta non la farà». Ma le impressioni sono diverse nel partito, chiunque parli con lei – non moltissimi – o con qualcuno dei suoi ne trae una diversa. E non c’è modo di chiarirsi: fino a ieri non era stata convocata la segreteria, tanto meno la direzione.

I contrari

Ma l’attesa della decisione crea un vuoto. Che, di giorno in giorno, si riempie: di contrari alla sua corsa. Ciascuno con una sfumatura di tono diverso, dal più cauto al più deciso. Si sono espressi Dario Nardella, Stefano Bonaccini, Matteo Orfini. Romano Prodi le ha consigliato di candidarsi solo in un collegio e solo se ha intenzione di fare l’eurodeputata. Sandra Zampa gli ha fatto eco. Il senatore Alessandro Alfieri ha rivelato che l’idea di Prodi è «ampiamente condivisa nella comunità democratica». Walter Verini le ha suggerito di candidarsi e poi fare l’eurodeputata. Ipotesi non scartata. Ma si può fare il leader volando quattro giorni a settimana a Bruxelles? L’esperienza di Nicola Zingaretti, che fece il segretario senza essere parlamentare, lo sconsiglia. Infatti Enrico Letta, tornato da Parigi per sostituirlo, si fece eleggere alla camera alla prima suppletiva disponibile.

I favorevoli

Alla fine i favorevoli restano pochi e più silenziosi dei contrari. Il loro capofila è il capogruppo al senato Francesco Boccia. Anche la sinistra interna ormai ha dubbi: non si è espresso con entusiasmo Peppe Provenzano. Né Andrea Orlando: la sua corsa «non sarebbe uno scandalo», ha detto, ma «la cosa peggiore che si potrebbe fare è usare le europee come un sondaggio nazionale». L’ex ministro parlava a suocera, cioè Meloni, perché anche nuora intendesse: e la nuora è Schlein. Che con questo suo estenuante temporeggiare sembra davvero preparare un referendum su di lei. Nel Pd c’è un precedente che davvero non l’aiuta: quello di Matteo Renzi con il referendum costituzionale del 2014. Di certo c’è che la sua indecisione ha creato un caso. Il paradosso è che neanche Giorgia Meloni ha ancora detto cosa farà, ma solo Schlein si è attirata addosso il fuoco dei media.

La minoranza

Nel frattempo nei territori a attivarsi sono i candidati forti della minoranza, fra uscenti e nuove candidature. Il rischio è che la futura delegazione sia composta per lo più da esponenti non vicini alla segretaria. Dal nord al sud: da Alessandra Moretti, Alessia Morani, Pierfrancesco Maran, Patrizia Toia, Lele Fiano, Giorgio Gori, Stefano Bonaccini, Elisabetta Gualmini, Dario Nardella, Matteo Ricci, Antonio De Caro, Alessia Rotta, Irene Tinaglia (non ha ancora deciso); Pina Picierno e Beatrice Covassi. Ancora incerti i candidati di peso dell’area della segretaria, che aspettano appunto la sua decisione: come Sandro Ruotolo e Alessandro Zan, e gli esterni Cecilia Strada, papabile capolista nel nord-ovest, e la scrittrice Chiara Valerio.

Il nervosismo

Nel Pd i nervi sono a fior di pelle. Ieri i senatori sono riuniti per un confronto sul voto sulla risoluzione dell’Ucraina (in sei hanno votato anche per quella del senato). Il capogruppo Boccia ha ammesso qualche problema nella gestione del gruppo, e di collegamento con i colleghi della camera. Oggi si replica; riunione congiunta dei gruppi, all’ordine del giorno c’è la giustizia. La richiesta di molti, Alessandro Alfieri in testa, è che d’ora in poi ci si coordini meglio: e poi presto, per iniziativa di Peppe Provenzano, si voterà per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Meglio evitare altri pasticci. L’unica “buona” notizia viene dalla Sardegna. Si scopre che liste che sostengono Renato Soru (ma non la sua) hanno utilizzato l’aiutino di consiglieri di destra per non raccogliere le firme. Un punto a favore per Pd e M5s e per la coalizione di Alessandra Todde.

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