La vita è un diritto da tutelare «dal concepimento alla morte naturale». È questa la formula con cui la maggioranza di governo apre la bozza di legge sul fine vita, in discussione nelle commissioni Affari sociali e Giustizia del Senato. Una frase che non compare nella Costituzione né nella legge 194 sull’aborto, ma che in questa proposta diventa principio cardine. Il testo, ancora in fase di limatura, sarà discusso formalmente nella prossima seduta del Comitato ristretto, martedì 1° luglio, come confermato dal presidente della commissione Affari sociali Francesco Zaffini (FdI). I punti più delicati, ha detto Zaffini, sono «l’istituzione del Comitato etico, l’esclusione del Servizio sanitario nazionale e l’obbligatorietà della messa a disposizione delle cure palliative».

Una norma che nasce in attuazione della storica sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, quella che stabilì che l’aiuto al suicidio non è punibile in presenza di precisi requisiti. Ora quella decisione viene tradotta in legge. Ma il testo mostra un impianto fortemente sbilanciato, che punta prima di tutto a limitare la portata dell’autodeterminazione attraverso filtri etici, clinici e burocratici molto stringenti. Contestati in commissione da tutta l’opposizione.

L’articolo d’apertura della bozza afferma con forza che «il diritto alla vita è diritto fondamentale della persona in quanto presupposto di tutti gli altri». E prosegue: la Repubblica tutela la vita di «ogni persona, dal concepimento alla morte naturale, senza distinzioni». Una formula che suona familiare a chi conosce il linguaggio dei movimenti pro-life. «La formula “dal concepimento alla morte naturale” mina il quadro di principio su cui si fonda la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza», spiega a Domani Angelo Schillaci, professore associato di Diritto pubblico comparato alla Sapienza.  «Se resta nel testo, rischia di costituire un precedente per future interpretazioni restrittive della 194». Ma non è l’unico punto critico.

Cure palliative obbligatorie

Il cuore della bozza è l’inserimento nel Codice penale (articolo 580) di un nuovo comma 2-bis. Si stabilisce che non è punibile chi agevola il suicidio di una persona in precise condizioni: maggiorenne, capace di intendere e volere, affetta da patologia irreversibile, in stato di sofferenza fisica o psicologica intollerabile, tenuta in vita da trattamenti che sostituiscono funzioni vitali, inserita in un percorso di cure palliative. Come osserva Schillaci: «La Corte aveva parlato di un’offerta, di un coinvolgimento possibile: ma la scelta restava libera. Qui invece diventa una condizione necessaria. Se rifiuti le cure palliative, perdi il diritto a morire con dignità».

Comitato nazionale di valutazione etica

Ma soprattutto: la decisione deve essere «libera, autonoma e consapevole» e deve ottenere il parere positivo del Comitato nazionale di valutazione etica, un nuovo organo previsto dal testo. Sarà questo Comitato a decidere se sussistano le condizioni per non punire chi aiuta una persona a porre fine alla propria vita. È composto da sette membri: un giurista, un bioeticista, tre medici (di cui uno palliativista, uno anestesista e uno psichiatra), uno psicologo e un infermiere. Sono nominati dal presidente del Consiglio e restano in carica cinque anni, con possibilità di due rinnovi. In Commissione l’opposizione ha evidenziato che una nomina dei componenti da parte del Consiglio dei ministri «politicizzi» il Comitato. Il parere è “obbligatorio”, anche se non vincolante per l’autorità giudiziaria. Eppure la Corte aveva previsto il coinvolgimento dei Comitati etici territoriali già attivi nelle strutture sanitarie.

Tuttavia, la legge prevede che chi ottiene un parere negativo non potrà ripresentare la domanda per 48 mesi: quattro anni in cui non sarà possibile riproporre una nuova valutazione, a prescindere dal possibile evolversi della malattia o della sofferenza. «C’è poi una discrepanza evidente», sottolinea Schillaci «nella definizione di dipendenza da trattamenti vitali. La Corte ha parlato di "sostegno vitale", non di trattamenti sostitutivi di funzioni vitali. È una nozione molto più ampia».

Il testo prevede tempi stringenti (60 giorni prorogabili) per la risposta del Comitato etico, ma esclude esplicitamente l’applicazione delle normative generali sulla trasparenza amministrativa e il diritto d’accesso (legge 241/1990), nonché la possibilità di ricorrere all’istituto del testamento biologico previsto dalla legge 219/2017. Il parere del Comitato, infine, sarà sottoposto al vaglio del giudice: l’autorità giudiziaria dovrà tenerne conto per valutare la non punibilità dell’aiuto al suicidio.

Le opposizioni

Alfredo Bazoli, senatore del Partito Democratico, accoglie con cautela l’arrivo della bozza: «È già qualcosa che ci siano testi su cui lavorare, ma c’è molto da correggere. I punti critici sono evidenti» dice. E sottolinea in particolare un’assenza: «Quella del ruolo del Servizio sanitario nazionale: si rischia che le persone debbano rivolgersi a strutture private o pagare di tasca propria».

Giudizio fortemente critico quello delle senatrici M5S Marilina Castellone e Anna Bilotti che giudicano «inaccettabili» sia la frase «dal concepimento alla morte naturale» sia la nomina governativa del Comitato, sia l’obbligatorietà delle cure palliative. «Una destra sorda al grido di dolore della comunità civile», commentano le due senatrici. 

Per Ilaria Cucchi (Avs), «una legge sul fine vita deve contenere il diritto di scelta dei malati che si trovano in condizioni di sofferenza irreversibile e il ruolo primario del Servizio sanitario nazionale. Non può essere un comitato etico, di nomina governativa, a decidere». E aggiunge che «vista la pessima proposta della destra, un testo condiviso è sempre più lontano».

Una proposta dunque che traduce formalmente la sentenza della Corte costituzionale, ma lo fa con una struttura pensata più per arginare che per garantire l’autodeterminazione. E, nel farlo, rischia di trasformare il diritto alla scelta in un percorso a ostacoli. Resta ora da vedere se questo impianto reggerà al confronto parlamentare e, soprattutto, alla prova della realtà di chi ogni giorno vive in condizioni estreme, in attesa di una risposta che oggi, per legge, non può più essere negata.

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