Nei 44 faldoni che compongono l’inchiesta penale sulla Fondazione Open, ci sono vicende che permettono di raccontare retroscena inediti del potere. E i meccanismi anomali che regolano talvolta i rapporti tra le imprese e la politica. Caratterizzati da conflitti d’interesse plurimi (con presunti reati annessi) che interlocuzioni oscure e poco trasparenti possono causare. Protagonista di una delle storie dell’investigazione portata avanti da anni dai pm di Firenze è quella di Pietro Di Lorenzo, diventato celebre durante la pandemia come “Mr Astrazeneca”: patron della Irbm di Pomezia e della Cnsccs (una società consortile partecipata anche dal Cnr e dall’Istituto superiore della sanità), presentato dai giornali come l’uomo a capo della società laziale che ha contribuito allo sviluppo del vaccino anglo-svedese.

Le aziende presiedute da Di Lorenzo sono però, secondo una lunga informativa della Guardia di Finanza analizzata da Domani, anche tra i principali finanziatori di Open: tra il 2014 e il 2017 hanno versato alla cassaforte di Matteo Renzi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi (oggi indagati per finanziamento illecito) ben 180 mila euro totali. Denari «finalizzati a consolidare e rafforzare i rapporti con esponenti politici del Partito democratico collegati alla fondazione Open, potenzialmente funzionali agli interessi imprenditoriali della Irbm e della Promidis srl».

Indagato per traffico di influenze illecite insieme all’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente di Open, la vicenda di Di Lorenzo è simile a quella di un altro benefattore della fondazione renziana, il proprietario di Moby Vincenzo Onorato (non iscritto nel registro dei reati): se il secondo finanzia prima Renzi e poi la Casaleggio Associati, Di Lorenzo – renziano doc – non disdegna di finanziare (indirettamente) la Open e poi un grillino come Dino Giarrusso, del tutto estraneo all’inchiesta).

Chiede anche aiuto diretto a Beppe Grillo. Quando un parlamentare del Movimento, Nicola Morra, comincia a mettere in dubbio la bontà di un progetto per la realizzazione di una televisione scientifica pagata con soldi pubblici, Di Lorenzo contatta il garante dei Cinque Stelle. E Grillo (non indagato) si interessa della faccenda. Tanto da chiedere al suo deputato, presidente della commissione parlamentare antimafia, «una relazione» sull’interrogazione anti-Di Lorenzo.

Tra soldi e politica

Partiamo dal principio. La Gdf elenca incontri e sms tra Di Lorenzo e esponenti del Pd: quelli con Alberto Bianchi, presidente di Open, poi quelli con Lotti, Marco Carrai, l’ex vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio, deputati del Pd di peso come Andrea Marcucci, e lo stesso Renzi. I contatti iniziano nel 2014, quando il futuro Mr Astrazeneca gira ad Open i primi ricchi bonifici, e partecipa alle convention della Leopolda l’anno successivo. Al tempo Di Lorenzo è presidente della fondazione Versiliana, e gli investigatori segnalano che a fine 2015, dall’analisi della corrispondenza, spunta «un contratto» discusso tra lui e Bianchi. Non conosciamo i dettagli, ma l’avvocato renziano, a leggere le cronache locali, l’anno successivo diventerà consulente legale dell’ente culturale toscano.

Di Lorenzo (anche per conto terzi, come la moglie) bonifica erogazioni liberali ad Open anche nel 2016 e nel 2017, e, secondo l’accusa, comincia a chiedere favori per le sue aziende. Incalza Bianchi per incontrare il presidente della Rai e «il direttore generale della Rai in relazione a un canale scientifico europeo» (mai fatto), pretende «un appuntamento con la Boschi», mentre a marzo 2016 Renzi, allora premier, gli fa l’onore di visitare il suo centro a Pomezia.

In quell’occasione doveva presenziare anche Smeriglio, braccio destro del governatore del Lazio Zingaretti e amico di Di Lorenzo. L’imprenditore gli scrive sollecitandolo non solo a venire all’evento, ma a sbloccare un finanziamento della Regione Lazio alla Irbm di 4 milioni di euro. ««La cosa si sblocca solo se tu gliela metti giù dura», scrive Di Lorenzo. Smeriglio: «Lo stiamo facendo. Renzi viene in Irbm? Sono contento amico mio te lo meriti... l’importante è che ci sia Zinga, tu ricorda a tutti che c’è un vicepresidente eccezionale ahaha!». Due settimane dopo, Smeriglio (non indagato) annuncia a di Lorenzo «novità positive»: i 4 milioni sono stati sbloccati.

Gli investigatori segnalano come a settembre 2016 l’Irbm Science Park spa stanzi «60mila euro a favore della Fondazione Open (sarà erogato solo per 30mila euro) e 50mila euro per tre tavole rotonde presso la Regione Lazio», una dei massimi contributori pubblici (con decine di milioni di euro complessivi negli ultimi lustri) dell’azienda di biotecnologia.

Il sogno della tv

Dall’estate del 2016 Di Lorenzo si concentra per ottenere fondi pubblici dal Miur e dal Cnr (circa 11 milioni di euro in due anni lo stanziamento iniziale) per la High Science Tv. Il veicolo ipotizzato per sviluppare il progetto è la Cnsccs, partecipata sia dalla Irbm da lui presieduta sia – con quote di minoranza – dal Consiglio nazionale delle ricerche. «Caro Andrea (Marcucci, ndr) il decreto predisposto dal Miur per il finanziamento... di 10,9 milioni di euro del progetto High Science Tv è fermo al gabinetto del ministro Giannini» si lamenta il patron a luglio del 2016.

A settembre specifica all’ex renziano oggi rimasto nel Pd: «Ciao Andrea, Fusacchia (capo dell’allora capo di gabinetto della ministra della ricerca Stefania Giannini ndr) ha bloccato la quattro mesi la firma sul decreto che finanzia la tv. Giacomelli (al tempo sottosegretario, ndr) ha concordato con Luca Lotti e Dario Franceschini che questo sarà il progetto scientifico che l’Italia presenterà al G7 di Taormina».

Secondo i finanzieri il pressing di Di Lorenzo dà frutti: nel marzo del 2017 il patron annuncia al cda di Irbm che il Consorzio Cnccs avrà 9,7 milioni di euro «a fondo perduto per due anni», e che la tv scientifica, sul satellite e digitale, «si concretizzerà in un immenso spot promozionale per l’Irbm». Nella stessa seduta del cda, Di Lorenzo «fa presente che intende erogare un finanziamento di 60 mila euro a favore della fondazione Open, per sostenere gli studi e l’attività di promozione della stessa nel campo della legislazione del lavoro e delle fiscalità».

Beppe aiutami tu

A giugno 2018 Cnr e la società controllata da Irbm sottoscrivono una convenzione e Di Lorenzo crea una società per gestire la televisione scientifica. Tutto sembra filare liscio, quando l’Anac, l’autorità anticorruzione al tempo guidata da Raffaele Cantone, solleva perplessità sull’operazione. Nicola Morra, a marzo 2019, firma un’interrogazione parlamentare con altri deputati pentastellati, ricorda l’assenza di qualsiasi procedura ad evidenza pubblica nello stanziamento dei soldi da parte del Cnr, e un presunto conflitto di interesse di Massimo Inguscio, presidente del Consiglio nazionale della ricerca e firmatario dell’accordo con la Cnccs, ma in passato vicepresidente della medesima società consortile.

La mossa di Morra preoccupa Di Lorenzo, che tre giorni dopo scrive un Whatsapp a Beppe Grillo: «Ciao Beppe, il progetto della tv scientifica che stiamo concretizzando è stato approvato in via definitiva dal Cnr... incredibilmente è arrivato un attacco assurdo da Morra... pazzesco... noi lo facciamo solo per il prestigio che conferisce alla ricerca scientifica italiana. C’è modo di spiegare a Morra che gli hanno fatto fare una cosa senza senso?». Grillo risponde dopo otto minuti: «Ho sentito Morra, il problema è nel Cnr non nel tuo progetto, mi manderà una relazione...».

A Di Maio, qualche ora prima, Di Lorenzo aveva mandato un messaggio simile, aggiungendo (millantando?) che il progetto della tv lo stava «concretizzando con Beppe». Per la cronaca, soggetti vicino a Di Lorenzo hanno finanziato anche il grillino Dino Giarrusso: sia la moglie di Mr Astrazeneca, Carmela Vitter, (quasi 5mila euro) sia Ezia Ferrucci (somma simile) hanno girato donazioni liberali all’europarlamentare. Ferrucci è una lobbista che lavora per Irbm ed è stata pure ex direttore editoriale della High Science Tv. Adesso si scopre dalle carte dell’inchiesta che ha dato 20mila anche ad Open di Renzi.

Nonostante i tanti referenti politici dell’imprenditore le problematicità dell’operazione sono diventate insormontabili. Il Cnr, che aveva girato la prima tranche da quasi 5 milioni a Di Lorenzo, ha stracciato di recente l’accordo e chiesto la restituzione di tutti i denari anticipati. «Non abbiamo speso niente, avevamo capito che erano in corso verifiche», ha detto a Domani l’imprenditore. Che ora dovrà difendersi da accuse gravi di aver “trafficato influenze” con Alberto Bianchi per provare a realizzare una tv che probabilmente non si accenderà mai.

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