La deputata: «Calenda: è una risorsa, ma adesso al partito serve più pluralismo». «Ruffini? Calato dall’alto come Sala e Gentiloni. Prima serve un tavolo e una squadra, noi non siamo stati neanche consultati»
«Discesa in campo» le piace perché gioca a calcio, si candida segretaria al congresso di Azione – a febbraio – e di altri nomi ancora non c’è notizia. Giulia Pastorella, 38 anni, due figli piccoli, laurea in filosofia, dottorato in Scienze politiche, Oxford e Sciences Po, dieci anni di lavoro «nel digitale», Hp e Zoom, consigliera comunale di Milano ma anche deputata. Calenda per lei «è un valore aggiunto, imprescindibile, non tento di sostituirlo, men che meno di mandarlo via. Voglio portare idee, energie e volti nuovi, pluralizzare il partito».
Non siete un partito personale?
Azione è nato dall’intuizione di una persona. Ma non si conclude in quella persona.
Vuole rifare il terzo polo, ma con Calenda e Renzi litiganti...
Ricostituire il terzo polo non significa riprendere Italia viva, che ha deciso di stare nel centrosinistra. +Europa farà un congresso, vedremo. Il tema è interloquire con le forze dell’area liberaldemocratica.
Le famose praterie?
Ho commissionato un sondaggio a Bidimedia per capire se ha senso la mia idea di andare oltre l’unicità della figura di Calenda. La risposta è sì. L’elettorato di Azione è ancora convinto della strada terzopolista. Per due terzi è a favore di temi progressisti, eutanasia, matrimonio ugualitario, legalizzazione della cannabis, persino Gpa. Non dobbiamo diventare +Europa, ma possiamo avere più coraggio, restando un partito improntato su impresa, sanità e scuola. Se ci fosse un cambio di leadership, il nostro potenziale elettorato resta del 10 per cento. La fiducia verso me è pari a quella per Carlo.
Un elettorato di centrosinistra.
No, equidistante dagli schieramenti, ma su certi temi ha una sensibilità progressista. Siamo liberaldemocratici, sul piano economico e su quello delle libertà individuali. Coerenti, non di sinistra.
Né di sinistra né di destra, come i primi M5s?
Finora si collocavano a sinistra. Ora hanno capito che si farebbero fagocitare, e dicono di non essere di sinistra. Noi siamo sempre stati coerenti: siamo nati con una visione di Paese, uno stato forte su scuola, sanità e difesa, ma che fa un passo indietro sull’impresa. Di sinistra, di destra? La destra è statalista, la sinistra non si occupa di lavoro e imprese.
Niente accordi con il Pd, dunque la destra vincerà di nuovo?
Non per forza, la legge assegna due terzi dei seggi con il proporzionale. Su questo il terzo polo può giocare un ruolo importante.
Ma se nei collegi maggioritari non c’è uno schieramento compatto vince la destra.
Nel 2022 erano percentuali diverse da oggi. E noi, presentandoci da soli, abbiamo recuperato un terzo del voto dall’astensionismo. Vale la pena di riprovare l’esperimento. Azione è nata con questa idea.
Il “suo” centro esclude Renzi, e si rivolge a personalità fuoriuscite da Pd e Iv.
Sono i nostri interlocutori. Il congresso ci aiuterà a trovare la strada per crescere. Sui temi, e su un partito che aggrega ma è coerente.
Per lei Ernesto Maria Ruffini è «un candidato dei salotti romani». Le pare un tipo salottiero?
Lui no, chi lo sta spingendo sì. Non è un segreto, sono grossi nomi, anche del Pd. Obietto il metodo dei nomi imposti dall’alto: non ridanno credibilità a quest’area. Azione comprende un posizionamento cattolico e moderato, ma a noi non è stato chiesto un parere su Ruffini. Mi aspetto, se ci sono sensibilità sparpagliate, che ci si sieda a un tavolo e prima dei nomi si cerchi una squadra. È metodo, non un giudizio sulla persona.
Chi si lancia deve chiedervi il permesso?
No, ma almeno parlarci.
Come per Calenda, anche per lei Schlein non attacca Stellantis per qualche intervista sui giornali della famiglia Agnelli?
Il problema è che la sinistra non parla dei lavoratori, e non ha più appeal in quell’area. Se la sinistra non se ne occupa, e la destra non gestisce la situazione, chi si interessa di politica industriale nel paese?
Schlein e il Pd nei cortei dei lavoratori sono di casa, Azione no.
Ci sono diverse maniere di occuparsi di lavoro, una è stare al fianco dei lavoratori, un’altra è prenderla dalla parte dei datori, metterli sulla griglia per correggere gli errori. O denunciare in parlamento chi riceve aiuti di stato e poi si distribuisce dividendi. Non basta partecipare agli scioperi.
C’è una deriva di destra radicale “non antifascista” nel governo?
Che nel governo ci siano elementi di destra radicale con reminiscenze fasciste sì, ma nei provvedimenti non c’è una “deriva”. Ci sono inasprimenti delle pene, e cose assurde come il modello Albania. Ma è un governo così inefficace da non essere neanche nocivo. Non dà una direzione al Paese, neanche una direzione di destra.
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