Il rapporto Censis 2024 fotografa il dissolvimento del ceto medio, non solo in termini economici, ma politici e culturali. E in questo clima mutato è avanzata una figura inedita nel panorama italiano: l'estremista di centro
Nella sindrome italiana, fotografata dal Censis nel rapporto 2024, spicca il dissolvimento del ceto medio, non solo in termini economici, ma politici e culturali.
Il Paese si presenta diviso, spopolato, spaventato, si sente minacciato dall'altro: altra origine, altro stile di vita, altra religione, altro colore della pelle, altro orientamento sessuale. Sono le condizioni in cui prospera il non voto e ha attecchito il messaggio delle destre.
In più, segnala il Censis, «c'è il pericolo che il corpo sociale finisca per frammentarsi dentro la spirale attivata dalla costruzione di rigidi confini identitari, in cui le differenze si trasformano in fratture e potrebbero degenerare in un aperto conflitto. Un solido ceto medio poteva neutralizzare le divergenze identitarie, stemperandole per mezzo di un’agenda sociale largamente condivisa. Il suo indebolimento rende oggi il Paese non più immune al rischio delle trappole identitarie».
L’estremismo moderato
È la guerra civile strisciante, quotidiana, in onda ogni sera in quella simulazione bellica a parole che sono i talk show, dove sguazzano i generali Vannacci più che Mimì Caruso, la 17enne trionfatrice a X Factor, rappresentante di quella generazione di ragazze e ragazzi totalmente cancellati dal dibattito pubblico, senza voce. Il conflitto identitario attraversa le famiglie, i luoghi di lavoro, la scuola, e ovviamente la politica.
Con una conseguenza indesiderata. La fragilità sociale e culturale del ceto medio si accompagna allo snaturamento del centro politico. Il centro politico, in Italia ma non solo, è stato legato a una caratteristica di moderazione, da non confondere con il moderatismo.
Negli ultimi anni, proprio mentre l'estrema destra avanzava e conquistava il vecchio elettorato moderato, oltre che le periferie e l'elettorato operaio che un tempo votava a sinistra (è la storia della Francia attuale, come ha raccontato il sociologo Didier Eribon Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo e in Ritorno a Reims), è invece avanzata una figura inedita nel panorama: l'estremista di centro.
L'estremista di centro non include, esclude. L'estremista di centro non è sobrio, è narcisista, a volte in modo patologico. L'estremista di centro non è mite, usa la clava verso gli avversari. L'estremista di centro vuole imporre agli altri i suoi valori che ritiene superiori, ma così facendo finisce per strappare quell'agenda sociale largamente condivisa, di cui scrive il Censis, che è sempre stata la sua forza e la ragione del suo radicamento.
Il centro si è così trasformato, da fattore di stabilità e di tenuta del sistema a ennesimo motivo della sua fragilità e della sua caduta. Lo vediamo in questi giorni di crisi in Francia. L'estremista di centro abita all'Eliseo, occupa il vertice dello Stato, confonde se stesso con la Repubblica, alimenta le tensioni, anziché spegnerle.
Emmanuel Macron ha agito, da giugno in poi, con «un misto di abnegazione e opportunismo», come disse Aldo Moro della corrente dorotea alla fine degli anni Sessanta (che però estremista non era). Ha sciolto l'assemblea, ha chiamato a fare fronte contro la destra lepenista, si è alleato con la destra lepenista, ora prova a spaccare la sinistra muovendosi sul fronte opposto. Senza mai mettere in discussione l'intangibilità del suo ruolo che ritiene taumaturgico, provvidenziale, un errore letale, chi si identica con la Francia dovrebbe esserne consapevole, da qualche secolo.
La fine del centro
In Italia tutti i grandi leader di centro, da De Gasperi e Moro, hanno avvertito come drammatica la debolezza dell'area della democrazia e si sono preoccupati di allargarla. Oggi, invece, i due capi dell'ex Terzo Polo non sono riusciti neppure a trovare un accordo tra loro.
Calenda anni fa voleva fare il fronte repubblicano (come Macron), oggi appare un leader ad excludendum, soprattutto di se stesso, Renzi di abbraccio in abbraccio è finito fuori gioco, i prossimi in arrivo come Marattin sono ancora più faziosi e settari dei modelli originali.
Per il ceto politico resta la strada di acquattarsi nel governo, in attesa di tempi migliori, come Tajani e Forza Italia, all'ombra di Giorgia. O dichiararsi progressisti indipendenti, qualsiasi cosa voglia dire, come Conte.
Ma volgendo lo sguardo altrove, fuori dalle collocazioni di comodo, la vera questione è rappresentare il centro del corpo sociale, che non ha rappresentanza politica, assumere le ragioni della tenuta della democrazia e della coesione per i ceti medi smarriti, un imperativo, soprattutto se ti chiami partito democratico.
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