I partiti combattono tra loro mettendo in luce i temi sui quali si sentono più convincenti. L’efficacia del messaggio di un partito aumenta esponenzialmente quando diventa l’interprete più accreditato di un ventaglio ristretto di tematiche, o anche di una sola. La chiave del successo consiste proprio nell’essere identificato dall’opinione pubblica come il vero e autentico portavoce di particolari istanze. I verdi, ad esempio, hanno fatto fortuna insistendo su una sola questione, quella ecologico-ambientale. 

I partiti maggiori, normalmente, offrono una gamma più articolata di posizioni. È insita nella connotazione di grande partito la propensione a diversificare l’offerta rivolgendosi a una platea ampia, addirittura potenzialmente onnicomprensiva. In questo, però, affiora un rischio, quello della dispersione, con conseguente annacquamento, del proprio messaggio: a volersi occupare di tutto e rappresentare le mille domande di tutta l’opinione pubblica, un partito perde la propria specificità fino a rendersi indistinguibile. L’elettore non sa più cosa vuole quella formazione politica.

Interessi confliggenti

Non è semplice conciliare appelli ad ampio spettro con la concentrazione su aspetti caratterizzanti. Perché puntare su un tema significa scegliere chi privilegiare a scapito di altri. Negli ultimi decenni i partiti socialisti hanno spostato gradualmente il loro focus dalla promozione di interessi specifici – di classe, per esemplificare – alla considerazione di interessi sistemici.

Vale a dire, più che la difesa delle condizioni dei ceti sottoprivilegiati, diventava prioritario erigersi a difensori degli equilibri macroeconomici. Ovviamente, un partito che si candida a governare un paese deve tenere in conto interessi generali, diversi e anche confliggenti. Ma se vuole conservare il consenso non può perdere di vista il suo “marchio di fabbrica”, la ragione sociale per cui è nato ed è stato riconosciuto.

La conciliazione di identità e specificità diventa particolarmente difficile quando un partito affronta un cambiamento della sua “natura”. Chi lo ha fatto con serietà, come il Pci nel 1991 allorché buttò a mare la sua vecchia ideologia, e quindi i tratti forti della sua identità, ne ha pagato pegno.

Chi lo ha affrontato solo superficialmente, senza una riconsiderazione profonda e sentita del proprio passato, come il Msi a Fiuggi nel 1995, è rimasto impigliato per mille fili al suo passato. Ancora oggi Fratelli d’Italia, erede diretto dell’esperienza del neofascismo, esibisce tutte le resistenze di quel passato. Lo deve fare perché è un partito che non ha diluito nulla della sua identità originaria. Che è facilmente riconoscibile nella sua agenda nazionalista e autoritaria.

Chi vota Fratelli d’Italia, sa cosa vota: il rappresentante di una tradizione le cui fondamenta consistono nel contrasto radicale alla sinistra e ai suoi valori rilanciando il primato della nazione e della tradizione, qualunque oggi significhi, dalla famiglia,  appunto “tradizionale”, alla difesa della razza bianca dall’invasione degli immigrati di colore. 

Identità in fieri

Nell’altra sponda dello spartiacque politico il Pd rema contro una serie di handicap rispetto al suo concorrente. L’identità del Pd è ancora in fieri. L’incontro degli ex – comunisti e democristiani – fu molto più contingente e difensivo – opporsi al berlusconismo – che propositivo.

Il Partito democratico ha navigato tra mille incertezze politico-ideali e programmatiche, tanto che la sua ragion d’essere è diventa quella sistemica, quella di un partito serio e affidabile che rimedia ai disastri combinati dalla destra: prima il default finanziario del governo Berlusconi nel 2011, poi il populismo anti europeo dei gialloverdi a trazione Salvini nel 2019, e infine l’ingresso nel governo Draghi dove ha inghiottito di tutto e di più per non disturbare il manovratore. Con il risultato, paradossale ma indicativo, di proporsi all’elettorato nella campagna elettorale del settembre scorso con l’agenda Draghi, e cioè con qualcosa che non identificava il Pd, bensì la sua mission sistemica.

Lodevolissimo sacrificarsi per gli interessi nazionali; ma il plauso di alcune componenti della classe dirigente non si è riverberato nell’elettorato. Che non ha capito cos’era e cosa voleva il Pd. Il compito, arduo, della nuova leadership è proprio quello di tracciare un profilo netto e preciso del partito.

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