«Quello che posso dire è che negli ultimi giorni sono arrivate migliaia di persone, sembrerebbe circa 3mila, ma chiaramente per noi è anche difficile tenere il conto, ciò che è possibile osservare è che appena si apre una finestra di bel tempo sbarcano in moltissimi; inoltre le rotte da cui partono sono ormai due, è sempre più evidente infatti che oltre la rotta libica molto importante è quella tunisina».

A raccontare cosa sta succedendo nel Mediterraneo è Marta Bernardini, coordinatrice di Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, presente con un Osservatorio sulle migrazioni sull’isola di Lampedusa dal 2014. E di certo se la grave crisi sociale ed economica che sta attraversando il paese maghrebino sta spingendo migliaia di giovani tunisini a partire, anche le politiche discriminatorie verso gli stranieri messe in atto dal presidente Kasi Saied stanno inducendo tante persone di nazionalità diversa a lasciare il paese.

«Quando si parla di rotta tunisina si immagina sempre che arrivino solo i tunisini – spiega Marta Bernardini - invece partono moltissimi subsahariani, tra loro anche, e questo è un altro dato importante, molte donne e molte bambine e bambini». Ma dalle coste tunisine si imbarcano anche migranti provenienti da Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, perché la rotta tunisina è in ogni caso più sicura di quella libica.

Rotta libica troppo pericolosa

Nell'ultimo anno la principale rotta migratoria attraverso il Mediterraneo, è diventata infatti proprio quella tra Tunisia e Italia. «Purtroppo – spiega a sua volta Oliviero Forti, responsabile politiche migratorie di Caritas italiana - tantissimi giovani tunisini sono in fuga da una situazione disperata a causa della crisi economica, di uno stato sociale completamente assente, e tentano la fortuna imbarcandosi comunque, e in qualche modo generano anche una nuova rotta perché per farlo hanno bisogno di mettersi nelle mani dei trafficanti che si sono organizzati per l'occasione e quindi diventano anche lo strumento per far transitare gente che proviene dall'Africa subsahariana». 

Chi si mette in viaggio, anche da altre realtà e paesi, «trova comunque in Tunisia una situazione meno pericolosa perché lì non ci sono le famigerate carceri libiche che invece si troverebbe a dover affrontare una volta arrivato in Libia».

Tuttavia, osserva Forti, l’aumento dei flussi delle ultime settimane «sorprende relativamente, perché da un lato coincide con la stagione primaverile, quella cioè in cui i numeri sono destinati a crescere vistosamente, tra l’altro quest'anno il meteo è stato clemente anche durante la stagione invernale e quindi sono aumentate le partenze perché le condizioni meteo rimangono comunque il fattore che influisce di più sui flussi migratori».

«Aiutare la Tunisia è la priorità»

In tal senso, il problema migratorio non si può affrontare attraverso delle misure legislative volte a colpire i trafficanti o le ong, come ha fatto questo governo e come è stato fatto in passato; «non è quello che serve - afferma Forti - e ce lo stanno dimostrando i fatti».

Al contrario, si sono persi mesi preziosi in cui si sarebbe dovuto mettere in piedi un piano per affrontare la crisi di queste settimane che si sapeva sarebbe scoppiata. Che, tradotto in concreto, significa, spiegano a Caritas italiana, sostegno economico alla Tunisia, da parte dell’Ue, del Fondo monetario internazionale, per dare al paese quel minimo di respiro. Solo così sarà possibile una politica migratoria controllata, fatto salva la necessità che vengano rispettati i diritti umani fondamentali. In un simile contesto anche il governo italiano avrebbe dovuto muoversi per tempo.

«Già siamo estremamente in ritardo – rileva Forti – e ci troviamo ora di fronte all'ennesima cosiddetta emergenza che quantomeno poteva essere attenuata perché la crisi della Tunisia era nell'aria da mesi, le informazioni circolavano da tempo, non c’è dunque da sorprendersi di quanto sta avvenendo; forse piuttosto che perdere tanto tempo, risorse e fatiche dietro al tema delle ong se avessimo ragionato e aiutato l'opinione pubblica a ragionare su quello che accade in questa parte del Mediterraneo, ci sarebbe maggiore comprensione e anche maggiore accettazione rispetto agli eventi cui stiamo assistendo».

Naufragi nascosti 

Intanto, racconta la responsabile di Mediterrean Hope, con la crescita del numero di persone che parte, è aumentato anche il mercato delle partenze, cioè è sempre più fitta la rete dei trafficanti, «di chi organizza questi viaggi particolarmente pericolosi perché le imbarcazioni sono veramente molto fatiscenti e quindi dalle coste tunisine partono tantissime persone in condizioni tremende; in realtà avvengono spessissimo dei naufragi di cui volte noi abbiamo pochissime notizie perché sono fatti che succedono anche molto vicino alle coste della Tunisia, di conseguenza i corpi vengono restituiti da quella parte del mare».

«A noi – prosegue Marta Bernardini – quello che interessa è che le persone, costrette comunque a mettersi in mare, vengano salvate, che poi si riesca a fare un coordinamento europeo dei salvataggi che unisca le autorità italiane, europee, le ong, ecc. va benissimo, l'importante è che le persone vengano salvate perché non possono continuare a morire in mare».

Importante è anche che vi sia «trasparenza su quello che avviene nel Mediterraneo, questa è una cosa che le ong negli anni hanno potuto fare, cioè hanno raccontato qualcosa di cui altrimenti non saremmo venuti a conoscenza».

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