Al diciassettesimo congresso dell’Anpi, a Riccione, i delegati sono accolti dalla canzone di Gianni Moranti “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”. Inno pacifista contro la guerra in Vietnam, messaggio chiarissimo. Eppure la consegna generale è – o meglio, sarebbe – quella di sfumare la polemica sull’invio delle armi in Ucraina e sull’aumento della spesa militare al 2 per cento del Pil auspicato dal parlamento con un ordine del giorno della Camera e promesso alla Nato dal premier Mario Draghi. Il presidente Gianfranco Pagliarulo pronuncia due no secchi, ma ha doveri di ospitalità nei confronti dei tanti invitati, e in primis nei confronti del segretario Pd Enrico Letta che, nonostante i dissensi, ha onorato la promessa di esserci.

Pagliarulo, però, non rinuncia alla sua linea.

E non solo sulle armi. Sulla Nato: «Bisogna avviare una riflessione sul suo ruolo. Le ragioni originarie sono venute meno, è ragionevole una progressiva dismissione delle sue strutture». Sulle cause della guerra: la condanna dell’invasione «è irrevocabile» ma «è un errore ignorare o minimizzare la recente storia ucraina, da Maidan alle formazioni naziste ucraine, alla Crimea, al Donbass».

Il fatto è che il congresso si apre di buon mattino con un messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ispirato a tutt’altri sentimenti: parla di un’associazione, quella dei partigiani, «che raccoglie l’eredità di coloro che hanno lottato per la libertà» e di un confronto che sarà «certamente, ancora una volta, un momento importante di testimonianza e di riflessione.

Di solidarietà attiva con chi sta resistendo». Da lassù sul Colle, quell’aggettivo, «attiva», non viene scelto a caso. Sembra rispondere alla «neutralità attiva» che chiedono i pacifisti disarmisti. Fra cui l’Anpi.

Passaggio di testimone

Pagliarulo fa una lunga relazione. Sono stati anni durissimi per l’Anpi: nell’ottobre 2020 l’associazione ha perso la sua autorevole presidente Carla Nespolo, oggi avvia un altro «quinquennio speciale» che «segnerà il definitivo passaggio del testimone dagli ultimi partigiani alle generazioni successive». Il nuovo gruppo dirigente sarà eletto domenica. Intanto però in primo piano c’è la guerra. La sera prima il direttivo, a porte chiuse, ha affrontato il dissenso con il presidente emerito, Carlo Smuraglia, che si è schierato invece a favore dell’invio delle armi in Ucraina. L’ex avvocato, novantanovenne generosissimo, sceglie di non insistere: «Siamo d’accordo su tutto, al 99 per cento, argomento chiuso».

Alla sala Concordia – si chiama così, il caso è cattivello – del Palacongressi, Pagliarulo può dunque confermare che la linea è il no alle armi: «Ma si sappia che l’Anpi non è una caserma ma un’associazione plurale in cui ci possono essere opinioni diverse. Siamo più uniti che mai». Eppure quando nel pomeriggio parla Andrea Cuccello, segretario confederale Cisl – il sindacato che si è ritirato dal cartello dei pacifisti di Roma in polemica con la parola d’ordine della «neutralità attiva» – e si schiera per l’ombrello della Nato becca qualche fischio. E lo stesso succede quando si dichiara a favore dell’aiuto concreto («armi», dice) alla resistenza ucraina.

Anche perché sul congresso cala la benedizione indiretta di papa Bergoglio che si schiera contro quello che qui viene definito «il ciclopico aumento delle spese militari». Il pontefice è durissimo: «Mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di stati si è compromesso a spendere credo il 2 per cento del Pil per comprare armi come risposta a quello che sta accadendo. Una pazzia».

Don Luigi Ciotti, dal microfono, riprende le sue parole fra gli applausi. Lo stesso fa la vicesegretaria Cgil Gianna Fracassi. L’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi aveva scelto un tema diverso, ma altrettanto spinoso, quello della giustizia riparativa: «Non dimentichiamo le terribili atrocità commesse nei mesi successivi alla Liberazione, non in nome di quei valori, anzi, tradendo questi. Credo sia un dovere della nostra generazione di trasmettere la storia, la drammaticità, le sfumature, la complessità ma anche una vera e coraggiosa riconciliazione». Tema complesso, rimandato ad altro momento.

Letta, dal microfono, sceglie di non approfondire le distanze. Ha votato per l’invio di armi e per l’aumento delle spese militari, e invoca una scelta «netta» dalla riunione della Nato che si svolge a Bruxelles, ma qui si limita a sposare «le parole del presidente Mattarella, che indicano la necessità di stare con gli aggrediti e di fermare questa guerra, di arrivare a una pace duratura». In ogni caso «il Pd e l’Anpi staranno sempre dalla stessa parte del campo, mai divisi».

Da remoto parla poi Giuseppe Conte, leader dei Cinque stelle. Alla Camera anche i suoi hanno detto due sì. Ma ora che il decreto è al Senato minacciano di ripensarci. E lui con loro: «Se oggi invece che intervenire con investimenti ingenti per aiutare le famiglie e le imprese in difficoltà scegliessimo la strada di investimenti massicci sulle spese militari», dice, «sarebbe per noi una scelta ignobile».

A Roma invece il Pd attacca l’alleato per il ripensamento. E il M5s ora è nei guai. Fratelli d’Italia promette un ordine del giorno fotocopia rispetto a quello della Camera, più draghiano dei draghiani. Non c’è pace in Ucraina, è il dramma. Ma non c’è pace neanche nella maggioranza del governo, nonostante i voti già espressi. E quest’ultimo conflitto sembra francamente una burletta.

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