Mentre l’attenzione del governo e del paese è tutta sulla morte di Silvio Berlusconi e sui suoi funerali di stato, domani in Duomo a Milano, per il governo Meloni rischia di aprirsi una nuova grana. Ieri sono infatti arrivati a Roma i tecnici della Commissione europea, che a fine settimana metteranno nero su bianco quel che le opposizioni segnalano da tempo, cioè che i ritardi del governo rischiano di compromettere l’ottenimento della quarta rata del Pnrr.

Mentre infatti ci dovrebbe essere un sostanziale via libera al versamento della terza rata, da 19 miliardi, per cui manca però ancora qualche decreto da emanare, il governo sta prendendo tempo sugli obblighi da mantenere per la messa a terra del resto del piano.

Si tratta di un controllo di routine, di quelli che avvengono in tutti i paesi ogni sei mesi, ma i rapporti tra Roma e Bruxelles si stanno facendo più tesi. Nessuno sa come stia andando l’interlocuzione sulle modifiche che il governo ha annunciato di voler fare al piano. Modifiche che vanno comunicate tassativamente entro fine agosto. Palazzo Chigi, però, non solo ha scelto di far passare il termine indicativo di fine aprile proposto dalla Commissione per discutere un nuovo impianto, ma ha già annunciato di volersi prendere tutto il tempo che rimane fino a fine agosto per mettere su carta i cambiamenti necessari.

Il governo, insomma, si sta concedendo un solo tentativo per fare delle proposte compatibili con le indicazioni di Bruxelles. Se dovessero esserci appunti da parte della Commissione – che per il momento ha segnalato aperture possibili sul fronte della flessibilità nel caso in cui ci fossero parti del piano non più attuabili per circostanze oggettive, come l’inflazione – non ci sarebbe più tempo per cambiare rotta.

Vivere pericolosamente

Si tratta dell’ultimo azzardo dell’esecutivo Meloni, che è solo l’ultimo capitolo di una gestione spericolata dell’attuazione del Pnrr, dallo spostamento della cabina di regia a palazzo Chigi, sottraendo parzialmente il progetto al controllo del ministero dell’Economia, allo scontro con la Corte dei conti, sollevata dal controllo concomitante sugli interventi da finanziare dopo una relazione critica sullo stato d’avanzamento, passando per la doppia relazione sul Pnrr diffusa alla fine dell’ultima settimana. In quell’occasione, le opposizioni hanno segnalato come la seconda versione del documento sia stata emendata da qualche azzardo riconducibile a palazzo Chigi.

Per incalzare palazzo Chigi sulle tempistiche dei prossimi passi nel rapporto con la Commissione, il Pd ha proposto una mozione che sarà discussa a stretto giro. L’obiettivo, tra le altre cose, è quello di avere una data precisa per quanto riguarda la notifica formale della richiesta di revisione, che l’Italia a differenza di altri paesi non ha ancora presentato. L’offerta dei dem è anche quella di confrontarsi in parlamento con una sessione straordinaria per discutere le priorità del piano di modifiche, ma per ora non ci sono segnali del governo in questa direzione.

Le opposizioni continuano a lamentare anche il mancato coinvolgimento del parlamento nella discussione dei prossimi passi, per esempio la selezione di quali progetti eliminare dal piano perché irrealizzabili entro il 2026. L’altro timore è che le modifiche possano intervenire sulle linee guida degli interventi, come la destinazione del 40 per cento al sud, o il paletto sulle assunzioni di giovani e donne. I cambiamenti potrebbero addirittura compromettere la capacità dell’Italia di ottenere tutte le risorse destinate dalla Commissione europea.

La Commissione è in uscita, verrà sostituita tra poco meno di un anno, ma la possibilità di trovare un accordo si allontana con ogni dichiarazione del governo contro la ratifica della riforma del Mes. E non è verosimile che possano esserci movimenti rilevanti su quella questione: è vero che per il 30 giugno è calendarizzata una proposta di legge dell’opposizione, ma è quasi certo che il provvedimento dopo la discussione generale venga rispedito in commissione o scompaia dall’agenda del parlamento. Ma anche se si dovesse riuscire ad andare al voto, i numeri per mandare un messaggio di pace alla Commissione europea approvando finalmente la ratifica – da ultimo paese dell’Unione – non ci sono, se la maggioranza rimarrà compatta. E, per il momento, non ci sono segnali che indichino altre possibilità. Neanche il rischio di un’estate bollente sulla linea Roma-Bruxelles.

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