Nessuno spazio per le sorprese: Renato Brunetta ha deciso di fare da schermo al governo e il “suo” Cnel ha bocciato la proposta di legge sul salario minimo, seppure con numeri meno eclatanti rispetto alle previsioni. In ogni caso diventa inevitabile il rinvio del testo in commissione alla Camera, pochi giorni prima della ripresa dell’iter. La maggioranza di centrodestra è pronta a cogliere la palla al balzo. Il via libera al documento del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è arrivato con 39 voti a favore e 15 contrari.

Numeri che sanciscono una spaccatura interna inedita per un organismo che si è praticamente sempre mosso all’unanimità. Il segnale che sulla vicenda ci sono sensibilità diverse e la votazione ha avuto una connotazione politica. Non c’è stata nemmeno la mediazione last minute, tentata da alcuni consiglieri che avevano chiesto di prevedere una sperimentazione del salario minimo almeno in alcuni settori, quelli più delicati.

Il no del Cnel

Il Cnel ha messo sul tavolo un proprio decalogo per garantire un livello di salari più dignitoso, ma senza lasciare alcuno spazio all’introduzione salario minimo legale, come chiesto dalle opposizioni sull’onda delle centinaia di migliaia di firme raccolte nei mesi scorsi. Il testo «è il frutto di un serrato lavoro istruttorio della Commissione dell’Informazione, più volta riunitasi per mettere a punto la versione definitiva», si legge nella nota del Cnel, che ricorda come l’iter sia avviato l’11 agosto scorso, «e poi in modo formale dal 22 settembre, giorno di insediamento della nuova Consiliatura». Il documento, dal punto di vista di contenuti, è «costituito da una prima parte di inquadramento e analisi e una seconda parte con conclusioni e proposte, arriva quindi in dirittura d’arrivo entro i 60 giorni indicati da Palazzo Chigi».

La posizione del Cnel si sofferma sulla valorizzazione della contrattazione collettiva. «Avere una contrattazione forte è l'unica garanzia per un mercato del lavoro efficiente, equo. La buona contrattazione produce buone regole», ha affermato Brunetta motivando la decisione del consiglio. Il no al salario di almeno 9 euro all’ora resta un paletto fisso: «Noi non abbiamo fatto una scelta duale ma la scelta di dire che serve una molteplicità di strumenti specifici mirati per aiutare la contrattazione nei settori più fragili, dagli appalti al lavoro domestico, dai tirocini all'agricoltura», ha sostenuto Brunetta.

Brunetta contro i sindacati

L’ex ministro berlusconiano ha ritirato fuori la sua verve politica contro i sindacati: «È il sindacato che è diviso. Quando il sindacato era unitario, il Cnel deliberava sempre in maniera unanime», ha detto il presidente dell’organismo, respingendo la tesi divisione interna, che pure è sotto gli occhi di tutti. Poi la punzecchiatura: «È legittimo che Cgil e in parte Uil abbiano cambiato idea». La decisione assunta a Villa Lubin ha provocato la reazione indignata delle opposizioni.

«La destra usa il Cnel per dire No al salario minimo», ha commentato il deputato del Pd, Arturo Scotto. «Non hanno il coraggio di farlo alla luce del sole – ha incalzato il parlamentare dem – e si rifugiano dietro organismi di rilevanza costituzionale che andrebbero preservati da strumentalizzazioni politiche. Questo accade nel giorno in cui il Cnel si spacca, fatto senza precedenti nella storia».

Non meno dura la replica del Movimento 5 stelle: «Il Cnel ultima il 'lavoro sporco' che la presidente del consiglio Giorgia Meloni aveva iniziato, e dice no a una misura di civiltà come il salario minimo», scrivono in una nota i deputati della commissione Lavoro del M5s. Il testo, secondo i pentastellati, ha «presupposti sono tragicomici. In base alle indiscrezioni ora la maggioranza vorrebbe anche andare avanti con il rinvio in Commissione del salario minimo: una melina indegna». Il risultato è la fine del confronto. Con il governo che tirerà dritto contro la proposta.

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