Nelle ore febbricitanti della crisi fra Evgenij Prigožin e Vladimir Putin il presidente degli Stati Uniti ha parlato con i più stretti alleati europei – Germania, Francia e Regno Unito – ma dal confronto ha escluso l’Italia, decisione che ha innescato un ormai classico dibattito sulla marginalizzazione della post fascista Giorgia Meloni dai rapporti internazionali che contano. La chiamata è arrivata solo a cose fatte, lunedì.

«Il colloquio si è focalizzato sul sostegno all’Ucraina e sugli ultimi accadimenti in Russia», specifica una nota di palazzo Chigi. «Biden ha chiesto a Meloni lo scenario sull’impegno dell’Italia nel Mediterraneo, sulla collaborazione con l’Unione europea per la stabilità in Africa. Grande attenzione è stata dedicata al quadro della crisi in Russia e al suo impatto legato alla presenza del gruppo Wagner in Africa».

Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepremier, ha assunto subito la postura difensiva: «Ma c’è grande considerazione da parte degli Stati Uniti», ha precisato alla Stampa, ricordando che sabato ha visto il segretario di Stato, Antony Blinken, presunta prova del fatto che il governo è incluso eccome nel novero degli alleati più vicini.

Una pessima notizia?

In un’intervista a Repubblica, Matteo Renzi ha parlato di una «pessima notizia per l’Italia», ha consigliato a Tajani di occuparsi un po’ di più della Farnesina e un po’ meno di Forza Italia e ha severamente proclamato che «la politica estera non si fa con i tweet», riuscendo perfino a rimanere serio. 

Il diplomatico americano Kurt Volker, già inviato speciale per l’Ucraina, ha detto che è quella di mettere ai margini l’Italia è una «cattiva abitudine» degli americani, ma poi ha aggiunto che in questi dialoghi di coordinamento si dovrebbe includere, come minimo, anche la Polonia.

Non è la prima volta che Meloni viene esclusa dalla prima fila degli alleati occidentali, e almeno in un’occasione ha manifestato apertamente il proprio disappunto, ma in questi casi la tentazione di gettarsi su una lettura politica andrebbe corretta con un po’ di sano senso delle proporzioni.

Un’altra categoria

La chiamata arrivata in ritardo non è un giudizio sul governo in carica, quanto il sobrio riconoscimento dei rapporti di forza fra le potenze. Con Mario Draghi a palazzo Chigi l’Italia ha temporaneamente goduto di un surplus di considerazione internazionale in ragione dell’autorevolezza dell’ex banchiere centrale presso le cancellerie occidentali, ma quando nel momento di massima esaltazione la stampa internazionale descriveva Draghi come il vero successore di Angela Merkel alla guida dell’Europa, lui stesso ha spiegato che per misurare l’influenza occorre scrutare i fondamentali dell’economia di un paese, non i volti di chi in quel momento governa. 

In questo senso, le varie esclusioni di Meloni si possono leggere non già come clamorose bocciature del suo governo, quanto come un semplice ritorno alla normalità. L’Italia è inesorabilmente in un’altra categoria rispetto alla prima nazione industriale europea, a una potenza nucleare nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e al regno che sta rinsaldando la sua “relazione speciale” con gli Stati Uniti. Drammatizzare una condizione normale rischia di indurre interpretazioni fantasiose della realtà.

Renzi sostiene che «gli Usa quando chiamano interpellano i quattro paesi europei del G7» e certo ricorderà che all’inizio di marzo del 2022, cioè all’indomani dell’invasione russa, Joe Biden ha chiamato per un confronto Berlino, Parigi e Londra. Roma non era nell’elenco. Il premier era Mario Draghi. 

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